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A Homs, la Moschea di Khalid Ibn al-Walid è stata bombardata nel 2016. L’anno successivo si è avviato il restauro finanziato da Ramzan Kadyrov, il leader ceceno amico di Putin, a sua volta sostenitore di Assad

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A Homs, la Moschea di Khalid Ibn al-Walid è stata bombardata nel 2016. L’anno successivo si è avviato il restauro finanziato da Ramzan Kadyrov, il leader ceceno amico di Putin, a sua volta sostenitore di Assad

La ricostruzione in Siria: solo propaganda e corruzione

Devastato anche dal terremoto di febbraio, il patrimonio siriano è un esempio del modo in cui i regimi (come quello di Assad o quello in Libano) concepiscono il restauro: un’occasione di propaganda, ricompensa dei seguaci e arricchimento delle élite

Frederick Deknatel

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Come si svolgerà la ricostruzione in Siria, data non solo la sconcertante portata delle distruzioni in tutto il Paese dopo un decennio di guerra civile (insieme, ora, alle conseguenze del terremoto di febbraio), ma anche le risorse limitate e gli interessi del regime imposto dal Governo del presidente Bashar al-Assad? Alcuni progetti di riedificazione già in corso ad Aleppo, Homs e Damasco forniscono una prima risposta, anche se la guerra non è ancora davvero finita. Fortemente promossi dalle autorità siriane e in alcuni casi pagati dai loro «patron» stranieri, questi progetti riflettono il modo in cui il Governo di Assad intende questa fase, e cioè uno strumento di propaganda e un veicolo per la corruzione delle élite. Nell’individuare rapidamente cosa sarà ricostruito, il Governo sta proiettando una visione di «giustizia del vincitore» alle condizioni di Assad, trascurando vasti quartieri residenziali un tempo in mano alle forze di opposizione che non saranno ripristinati, per mancanza di risorse o come forma di punizione collettiva.

Il programma governativo per la ricostruzione si basa sulla «cooptazione» del patrimonio culturale siriano, quindi non è un caso che molti di questi primi progetti riguardino siti simbolici come le moschee storiche. Le due più importanti sono ad Aleppo e Homs, dove la Grande Moschea degli Omayyadi è in fase di restauro, e la Moschea di Khalid Ibn al-Walid, di epoca ottomana, è stata restaurata a tempo di record. Entrambe le moschee sono state essenzialmente trasformate in un palcoscenico per il messaggio di Assad sulla ricostruzione del Paese. In contrasto con i ribelli siriani e le altre forze dell’opposizione, che il Governo ha presentato come «terroristi» insieme ai gruppi estremisti islamici fin dai primi giorni della guerra, la narrazione promuove Assad come custode e persino guardiano della cultura e della storia siriana.

E sebbene i lavori sulle moschee di Aleppo e Homs siano stati avvolti dalla propaganda governativa, offrono uno spaccato delle intenzioni di Assad in tutta la Siria, con implicazioni preoccupanti per la ricostruzione in altri Paesi devastati dalla guerra civile. Essi, inoltre, chiariscono come l’obiettivo del Governo non sia ricostruire completamente la Siria e riportare il paesaggio urbano e le infrastrutture ai livelli prebellici, ma usare questa fase postbellica per consolidare la propria autorità, il controllo del territorio e tutti i vantaggi economici e politici possibili. Quello che sta succedendo in Siria è un segnale d’allarme che riguarda potenzialmente ogni guerra in atto o futura: mostra come governi e autorità decidono l’utilizzo e la gestione di risorse limitate e le insidie di una ricostruzione che si svolge in un territorio in cui il conflitto non si è ancora concluso.

La ricostruzione secondo Assad
È stata definita la «capitale della rivoluzione» ma è presto diventata il punto di partenza della guerra civile siriana. Le prime proteste antigovernative a Homs, terza città più grande della Siria, hanno portato a repressioni che hanno alimentato l’opposizione armata al regime di Assad. Homs ha languito economicamente per anni all’ombra della capitale Damasco e di Aleppo, il polo commerciale della Siria nel Nord, almeno fino a quando i ribelli si sono arresi dopo l’assedio nel 2014 da parte delle forze governative, e la guerra urbana più feroce si è spostata proprio ad Aleppo che ha poi sopportato il peso delle peggiori violenze del conflitto. Compresi attacchi aerei da parte di jet russi dopo l’intervento di Mosca nella guerra a favore di Assad.

Quando i combattimenti a Homs sono finiti, la città sembrava una landa desolata che ricordava la seconda guerra mondiale, una Dresda del XXI secolo. Un destino simile attendeva Aleppo, tornata sotto il controllo del regime alla fine del 2016 dopo un blitz congiunto di Russia e Siria. Homs ha anche offerto un’anteprima di ciò che sarebbe accaduto ad altre città in rovina una volta tornate sotto il controllo di Assad, desideroso di mostrare la propria forza attraverso progetti di ricostruzione selettivi e altamente simbolici.

A Homs, l’obiettivo è stato il principale punto di riferimento urbano, ai margini della storica Città Vecchia: la Moschea di Khalid Ibn al-Walid, costruita negli ultimi anni dell’Impero Ottomano, all’inizio del XX secolo, sul sito di una moschea e di un mausoleo dedicati al comandante militare che guidò la conquista musulmana della Siria nel VII secolo. Molte delle nove cupole sono state danneggiate durante i combattimenti, crivellate da enormi fori di artiglieria, insieme a uno dei suoi minareti. Come altre moschee storiche e siti del patrimonio culturale in Siria, la moschea di Khalid Ibn al-Walid è stata usata ampiamente dai media internazionali come simbolo del conflitto siriano, con i resoconti sui danni subiti e sul controllo del sito da parte delle forze dell’opposizione o del Governo.

Nel 2017, nonostante la devastazione diffusa in tutta la città, compresa la maggior parte delle infrastrutture, Ramzan Kadyrov, l’uomo forte leader della Cecenia, vicino al presidente russo Vladimir Putin, annunciava che la Moschea di Khalid Ibn al-Walid sarebbe stata prontamente ricostruita, grazie alla sua Fondazione Akhmad Kadyrov. Nel diffondere la notizia, la Tass, agenzia di stampa di stato russa, aggiunse che la Fondazione avrebbe noltre fornito 14 milioni di dollari per ricostruire anche la Grande Moschea Omayyade di Aleppo, ancora più importante e più gravemente danneggiata. La Città Vecchia di Aleppo, come il centro storico di Homs, è stata un’altra linea del fronte nella guerra civile; i ribelli avevano occupato i suq medievali dalle volte in pietra che costeggiano le mura della Grande Moschea, mentre i soldati governativi avevano scavato in cima alla vicina cittadella che domina la città. Nel 2013, l’iconico minareto della Grande Moschea, dell’XI secolo, era stato abbattuto dall’artiglieria di Assad, secondo testimonianze affidabili.

In occasione di una cerimonia di riapertura a Homs all’inizio del 2019, dopo che la Moschea di Khalid Ibn al-Walid era stata ricostruita in fretta e furia, il governatore della città ha ringraziato i funzionari ceceni in visita per la loro «generosità» e ha definito la moschea il primo grande progetto di ricostruzione del quartiere Khaldiyeh della Città Vecchia. Il resto dell’area, tuttavia, non è stato altrettanto fortunato. [...] Tutto ciò non ha impedito al Governo siriano di promuovere la moschea restaurata come un primo segno della più ampia ricostruzione di Homs. Il Ministero del Turismo l’ha persino presentata nel 2018 in uno dei tanti videoclip propagandistici disponibili su YouTube. Su una colonna sonora trionfale, il drone mostra la moschea dall’alto, con le sue cupole ricostruite e i mattoni a vista nuovi che spiccano in modo netto sulla città circostante, desolata e ancora in rovina. [...]

La ricostruzione selettiva e precoce di Homs è stata una decisione presa dalle autorità siriane sostenute dai loro partner internazionali, in Cecenia e per estensione in Russia. Questo riflette anche una tendenza più ampia in Siria. Oltre al vantaggio propagandistico di mostrare la ricostruzione di una famosa moschea danneggiata durante la guerra (anche se è stata danneggiata dai militari siriani e anche se la guerra non è finita) il Governo proietta la propria autorità su ciò che vuole e non vuole ricostruire. [...] È in gioco qualcosa di più apertamente politico, secondo i termini arbitrari del Governo, sia nella ricostruzione selettiva di siti religiosi a Homs a scapito di interi quartieri devastati dalla guerra, sia in un enorme progetto di riqualificazione urbana a Damasco finanziato da soggetti vicini al Governo e localizzato su terreni espropriati in nome della prosperità «postbellica». «Trasformando il paesaggio socioeconomico attraverso la riconfigurazione dello spazio urbano», insistono gli architetti e urbanisti siriani Sawsan Abou Zainedin e Hani Fakhani, questa forma di ricostruzione «mira a consolidare il controllo autoritario del regime». [...]

Come mi ha detto nel 2019 Amr al-Azm, antropologo e archeologo siriano e fondatore della «The Day After Initiative», un’organizzazione della società civile siriana, «il regime ha due possibili interessi nella ricostruzione. Uno, come mezzo per ricompensare le aree e gli individui che gli sono stati fedeli. Due, per far sì che la cricca del regime si arricchisca» a spese di questo processo. [...] Ad Aleppo, come a Homs, la Città Vecchia è stata al centro di piani di ricostruzione affrettati e pieni di simbolismi, pensati per rendere lustro ad Assad, mentre i quartieri più danneggiati e periferici (quelli che hanno sostenuto l’opposizione) sono stati ampiamente ignorati. E come per Homs, uno dei motivi è l’aiuto della Fondazione cecena Kadyrov, i cui 14 milioni di dollari promessi sono stati rapidamente utilizzati.

«Dalla caduta di Aleppo nel dicembre 2016, il regime si è impadronito sia della città che della narrazione, cercando di garantire che la sua versione della verità sia trasmessa a gran voce», ha riferito la giornalista britannica Diana Darke da Aleppo nella primavera del 2018. [...] Nessun edificio, forse, «potrebbe dirci di più sul flusso e riflusso della guerra siriana della Grande Moschea degli Omayyadi un tempo magnifica», ha aggiunto. La supervisione del restauro della moschea è stata fatta dalla società di costruzioni dell’esercito siriano, la più grande del Paese, invece che da esperti di beni culturali o dal Ministero per le Dotazioni Religiose, e gli ordini sembravano provenire direttamente dall’ufficio del presidente. L’ingegnere militare responsabile del progetto ha dichiarato a Darke: «Non ho idea del perché sono stato scelto per questo lavoro. Prima di questo progetto, ho costruito l’aeroporto di Aleppo». [...]

Naturalmente, non tutto il simbolismo è negativo. «La ricostruzione della Grande Moschea, simbolo per Aleppo e punto di orgoglio per tutto il Paese, sarebbe un contributo importante alla rigenerazione della società siriana», ha commentato lo storico Ross Burns, ex ambasciatore australiano in Siria e autore di Aleppo: A History. Il risanamento e il restauro di questi siti del patrimonio culturale hanno portato anche la promessa di posti di lavoro per artigiani e operai edili, anche se la prospettiva di incrementare l’industria del turismo sembra essere oltremodo ottimistica. [...]

Uno «Stato paria» può ricostruire?
Alla base di tutto ciò che ruota attorno alla ricostruzione, tuttavia, ci sono le crude realtà politiche della Siria dopo anni di guerra civile, sia sul campo (per quanto riguarda il controllo di un determinato territorio da parte del Governo o dell’opposizione e l’entità dei danni subiti nel corso del conflitto) sia a livello internazionale, dato che il Governo siriano è da anni sotto sanzioni internazionali in quanto «Stato paria». Il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) è stato impegnato in particolare a Homs, dove ha supervisionato gli interventi nel suq coperto della città, definiti di «risanamento» così distinguendoli da ogni «ricostruzione» formale, date le sanzioni e la posizione dell’Onu che non sosterrà la ricostruzione fino a quando non sarà avviata una transizione politica in Siria. Le Nazioni Unite definiscono così «risanamento», «recupero» e «resilienza della comunità» i loro interventi su piccola scala («se i danni superano il 30-40% del volume iniziale dell’edificio, allora la consideriamo una ricostruzione e non interveniamo», spiegano) principalmente per ripristinare le infrastrutture critiche come la rete elettrica e quella idrica, o per riparare scuole e ospedali danneggiati. Gli Stati Uniti, da parte loro, definiscono «stabilizzazione» quel poco di ricostruzione che hanno sostenuto nella città nord-orientale di Raqqa, dopo aver cacciato gli estremisti dell’Isis radendo al suolo gran parte della città con attacchi aerei.

«Non ci occupiamo di ricostruzione», mi ha detto nel 2019 Moises Venancio, consulente del’Undp per la Siria con sede a New York. «Nessuno fa ricostruzione in Siria. È la posizione internazionale, ma anche quella adottata dal Segretario generale delle Nazioni Unite». [...] Posizione confermata da un alto funzionario umanitario al «New Yorker»: «Ricostruzione è una parola sporca. È politica. Non vogliamo fare nulla che finisca per avvantaggiare il regime». L’esistenza o meno di finanziamenti internazionali per la ricostruzione della Siria è una sorta di paradosso. Gli Stati Uniti e i Paesi europei, che hanno imposto sanzioni al Governo di Assad, hanno presentato la prospettiva degli aiuti occidentali come un incentivo per i negoziati che potrebbero porre fine alla guerra, sostenendo che non finanzieranno alcuna ricostruzione importante a meno che Assad non rinunci al potere o non accetti una soluzione politica. Ma Assad è più arroccato che mai. [...] Il conflitto continua e ogni tentativo di colloqui di pace è andato a vuoto. [...]

Tuttavia ciò non ha impedito l’avvio di altri lavori di restauro, in particolare ad Aleppo, con il tacito sostegno delle organizzazioni non governative internazionali impegnate nella conservazione del patrimonio culturale, anche se a molte di esse mancano ancora i fondi necessari. Alcune sezioni del suq coperto di Aleppo (circa 650 metri) sono già state ricostruite e restaurate con il supporto dell’Aga Khan Foundation. [...] Ma per ripristinare i 9 km di suq originario ci vorranno «almeno 10-20 anni», secondo un architetto coinvolto nel progetto. È chiaro che il Governo siriano, dopo anni di guerra e di isolamento internazionale, non può permettersi i costi crescenti della ricostruzione del Paese, stimati in centinaia di miliardi di dollari. Ma anche se le sanzioni venissero alleggerite, quale visione hanno le autorità siriane per il Paese dopo un decennio di guerra? «Abbiamo perso il meglio della nostra gioventù e delle nostre infrastrutture», aveva dichiarato Assad già nel 2017. [...]

«Disuguaglianza e ingiustizia sono al centro della ricostruzione della Siria, ha osservato lo studioso Joseph Daher. Il processo di ricostruzione, che rimane molto limitato, mira a garantire che tutto il potere nel Paese provenga dal regime e dalle sue reti». Ad esempio Samer Foz, uomo d’affari vicino ad Assad e sanzionato dagli Usa e dalla Ue, nel 2018 ha dichiarato al «Wall Street Journal»: «Se non penso io a ricostruire il mio Paese, chi lo farà?». [...] Nel 2019, un funzionario dell’Undp a Damasco mi ha detto che la trasformazione più evidente ad Aleppo è stata l’improvvisa apertura di piccoli negozi in una strada un tempo «spettrale» della zona est. Vendevano materiali da costruzione a rifugiati o sfollati interni che cercavano di riedificare da soli le proprie case. «Sono stati costretti a tornare, ma solo perché non avevano più risparmi per pagare l’affitto altrove o perché anche le comunità ospitanti erano esauste». [...] E ha descritto Aleppo all’inizio del 2019 come «completamente paralizzata rispetto a qualsiasi tipo di ricostruzione». Da allora sembra che poco sia cambiato in città. Si vociferava di un Piano regolatore, ma «nessuno l’ha visto. Ufficialmente non è stato lanciato, è nelle mani del Governo». Un elemento che rinforza la sensazione di una ricostruzione alle condizioni di Assad. [...]

Lo stesso a Beirut
I segnali d’allarme di dove potrebbe portare questo tipo di ricostruzione selettiva si trovano a poca distanza, in Libano, soprattutto a Beirut, che, come Aleppo e Homs, è stata la prima linea di una brutale guerra civile. Quando nel 1990 si è concluso il conflitto libanese, durato quindici anni, il centro di Beirut era in rovina. La sua ricostruzione non è stata supervisionata da un Governo autoritario come quello di Assad, ma da un’unica società immobiliare privata, chiamata Solidere, il cui maggiore azionista era il miliardario e primo ministro del Paese, Rafik Hariri. Solidere ha essenzialmente acquistato tutto il centro storico di Beirut, pesantemente danneggiato, sfollando molti residenti e piccole imprese, e ha strutturato l’intera area come un’unica società di cui i proprietari terrieri più grandi potevano acquistare azioni, in cambio della vendita dei loro diritti di proprietà. Solidere ha poi ricostruito il centro della città per una ristretta élite di ricchi libanesi e investitori provenienti dal Golfo Persico e con poca cura o attenzione alla conservazione dei resti archeologici dell’epoca romana e fenicia, che si trovavano sotto le macerie e sono stati portati alla luce durante la ricostruzione. [...] Ha restaurato alcuni edifici dell’epoca ottomana e del Mandato francese danneggiati durante la guerra, trasformandoli in negozi di lusso e banche. Sono sorte anche nuove torri scintillanti, alcune progettate da importanti architetti internazionali [...].

Il Governo siriano potrebbe già avere in mente la sua versione di Solidere a Damasco, con Marota City, un enorme complesso di lusso in costruzione da parte di operatori vicini al regime, nella periferia sud-occidentale su terreni espropriati agli oppositori. [...] «Solidere ha portato alla violazione sistematica dei diritti di proprietà, all’esclusione delle comunità e al profitto dei criminali di guerra», scrivono i ricercatori Noor Hamadeh e Krystel Bassil, e Marota City potrebbe fare lo stesso. [...] «Il regime sta usando lo sviluppo urbano come arma per punire ed escludere le comunità dell’opposizione», anche attraverso holding per supervisionare progetti immobiliari travestiti da ricostruzione. [...] E in questi termini si rischia oltretutto di rendere molto più difficile la riconciliazione postbellica tra le varie comunità della Siria. [...]

Comunicare potere e autorità
Che cosa significa veramente ricostruzione in Siria e si può davvero parlare di ricostruzione se la guerra civile è tuttora in atto? Sul tema di chi deciderà le sue modalità, è chiaro che il Governo siriano cercherà credito per eventuali progetti utili a legittimare il proprio ruolo, specialmente in una città come Aleppo la cui ricostruzione potrebbe promettere visibilità e reputazione internazionali. Ma gli stessi cittadini determineranno comunque molte altre forme di recupero e riedificazione, su scala locale e al di fuori dell’autorità del Governo, a partire dalle proprie case. [...] Il fatto che alcune delle stesse dinamiche e problematiche della ricostruzione di Beirut siano ora evidenti a Damasco e Homs sottolinea il rischio che l’intero processo possa rapidamente cadere sotto il controllo di autorità ed élite motivate dal desiderio di consolidare il proprio status politico ed economico, anche attraverso la corruzione. [...]

E proprio il patrimonio culturale (danneggiato durante il conflitto e primo obiettivo della «ricostruzione») rischia di venire strumentalizzato. La domanda infatti è: perché gli è attribuita priorità rispetto ad abitazioni e infrastrutture di base? Per ragioni puramente simboliche, di propaganda, per sostenere la reputazione o la legittimità delle autorità locali, soprattutto quelle autocratiche? Finora, per esempio, non si è scelta la strada, altamente simbolica ed evocativa, di lasciare deliberatamente alcuni monumenti in forma di rovina, come avvenuto ad esempio per la Frauenkirche di Dresda, bombardata nel 1945 e ricostruita solo nel 2005, ben dopo la riunificazione della Germania. E comunque, in Siria, data la portata della distruzione, molti siti storici non potranno essere ricostruiti in tempi rapidi. Tuttavia, come per la più generale ricostruzione del Paese, anche quella del suo patrimonio culturale riflette ciò che Assad vuole raggiungere e comunicare: mantenere tutto il potere e l’autorità, nonostante governi su un Paese sconvolto da una guerra provocata dal suo stesso regime.


Frederick Deknatel dopo aver lavorato nell’Office of the United Nations High Commissioner for Refugees, è caporedattore di «Democracy in Exile, the journal of Democracy for the Arab World Now». Il testo pubblicato è una sintesi di Reconstruction, Who Decides?, contenuto nel volume Cultural Heritage and Mass Atrocities pubblicato dal J. Paul Getty Trust di Los Angeles, in cui i curatori James Cuno e Thomas G. Weiss hanno chiamato 38 autori a trattare il tema della distruzione del patrimonio culturale nella storia recente.
 

Rue Weygand nel centro devastato di Beirut dopo la fine della guerra civile libanese durata quindici anni, 23 dicembre 1990. Foto Marc Deville

Aleppo distrutta dai russi

La Moschea di Khalid Ibn al-Walid restaurata

Frederick Deknatel, 13 aprile 2023 | © Riproduzione riservata

La ricostruzione in Siria: solo propaganda e corruzione | Frederick Deknatel

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