La prima antologica museale di Simone Leigh

All’Ica di Boston la produzione ceramica e alcuni monumentali lavori in bronzo della vincitrice dell’Hugo Boss Prize 2018, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 2022

«Martinique» (2022) di Simone Leigh. Cortesia dell’artista e della Matthew Marks Gallery. Foto: Timothy Schenck
Federico Florian |  | Boston

«Per dire la verità, dichiara Simone Leigh, bisogna saper inventare quel che non si trova negli archivi, comprimere il tempo, fare dei ragionamenti sulle dimensioni, spostare e muovere cose al fine di rivelare qualcosa di più vero dei meri fatti». È attraverso questo approccio immaginativo-descritto dall’autrice e accademica Saidiya Hartman come «critical fabulation» (fabulazione critica), che Leigh, vincitrice dell’Hugo Boss Prize 2018 e Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 2022, colma i vuoti di una storia lacunosa, raccontata solo parzialmente: quella della donna nera e del suo ruolo nella storia e nelle culture.

Dal 6 aprile al 4 settembre
l’Institute of Contemporary Art di Boston ospita la prima presentazione di una grande retrospettiva dedicata all’artista americana (a seguire, le tappe all’Hirshhorn di Washington e al Lacma e al Caam di Los Angeles). «Il desiderio di Leigh di mettere al centro la femminilità black va letto come un impegno condotto malgrado e in anticipo rispetto alla realtà politica e culturale, piuttosto che come mera reazione a esse», afferma Eva Respini, curatrice della mostra.

Pur trattandosi della sua prima antologica museale, difatti, Leigh ha cominciato a produrre le sue sculture di argilla di soggetto femminile oltre vent’anni fa, ben prima del successo e del riconoscimento internazionale. In mostra, esempi della sua produzione ceramica, ispirata alle tradizioni vernacolari dell’America del Sud, dei Caraibi e del continente africano: fra questi, recipienti domestici quali ciotole e brocche (simbolo del lavoro delle donne), così come conchiglie di cipree (moneta di scambio per i nativi africani) e busti femminili con volti privi di occhi, iconografia ricorrente in tutta la sua opera.

Tra i lavori imperdibili, una grande scultura sospesa composta da forme di porcellana nera simili a grappoli e seni da cui si elevano antenne d’auto («Trophallaxis», 2008-17): una riflessione sulla relazione tra fertilità, nutrimento e corpo femminile.

E non mancano i monumentali lavori in bronzo, materiale con cui Leigh ha cominciato a sperimentare nel 2018, la cui iconografia black e femminista (si pensi al suo enorme busto di donna nera installato sulla High Line a New York) rappresenta una sfida alla memoria culturale dei monumenti del passato. Fra questi «Satellite» (2022), il bronzo di oltre sette metri che l’artista ha presentato al padiglione statunitense dell’ultima edizione della Biennale veneziana: un simbolo di blackness e autoaffermazione, che accoglie i visitatori all’esterno, come un faro di speranza.

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