«Per favore mandami subito 12 rullini Kodachrome con tutte le istruzioni, spediscili via Clipper, perché ho avuto un’idea per Life». È il luglio 1938, Robert Capa (1913-54) è in Cina per seguire il secondo conflitto sino-giapponese e scrive a un amico dell’agenzia Pix di New York perché vuole scattare a colori. Delle fotografie realizzate con quei rullini solo quattro saranno pubblicate da «Life», il colore sembra ancora troppo frivolo per raccontare la guerra. Capa però comincia ad alternarlo al bianco e nero, per lui l’esplorazione di questo nuovo linguaggio non è affatto secondaria. Ne sono prova le oltre 150 immagini a colori esposte fino al 30 maggio nella mostra «Capa in Color», curata da Cynthia Young per le Sale Chiablese dei Musei Reali.
Ci sono Ernest Hemingway a Sun Valley; i soldati americani in Tunisia; la gente nella piazza Rossa; i coloni a Israele nel 1949-50; l’alta società nelle stazioni sciistiche e sulle spiagge di Biarritz e Deauville; Picasso col figlio Claude; la moda e il cinema, tra Capucine e Humphrey Bogart; compresi gli scatti al seguito delle truppe francesi in Indocina, poco prima di restare ucciso. Padre del fotogiornalismo di guerra e cofondatore di Magnum, Capa capisce che «l’immaginario a colori è parte indissolubile della ricostruzione e della vitalità del dopoguerra».
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