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Federico Florian
Leggi i suoi articoliIl noto critico d’arte americano Holland Cotter, nel 2009, ha descritto con queste parole, sulle pagine del «New York Times», una monumentale installazione fotografica di Zoe Leonard: «In queste fotografie di vetrine di negozi una composizione di scarpe o dei mobili avvolti nella plastica divengono un’immagine di vanitas. Un’insegna dipinta a mano diviene una reliquia. In queste immagini sentiamo che un quartiere senza nome (...) sta facendo i bagagli in vista di una partenza».
Si tratta di «Analogue», forse il lavoro più noto di Leonard, nata a Liberty, nello stato di New York, 53 anni fa: un’opera epica, composta da 412 fotografie a colori e in bianco e nero, scattate nell’arco di 11 anni (dal 1998 al 2009). Esposta, fino al 30 agosto, nel Donald B. and Catherine C. Marron Atrium del MoMA di New York (che ha acquisito l’opera due anni fa), «Analogue» documenta il paesaggio urbano della Grande Mela, per la precisione del Lower East Side, dove l’artista ha abitato per molti anni, attraverso fotografie di vetrine di negozietti decadenti, minacciati dall’imminente gentrificazione. «L’opera è un’allegoria poetica della globalizzazione e dell’urgenza dell’innovazione tecnologica», afferma Roxana Marcoci, curatrice della mostra insieme a Drew Sawyer,
Le immagini che compongono questo lavoro, infatti, sono state scattate non solo a New York, ma anche in varie località nell’Europa dell’Est, in Africa e in America Latina, i luoghi d’origine o di destinazione finale delle merci fotografate. Esse illustrano, mediante un linguaggio formale schietto, le dinamiche di circolazione e di riciclaggio di tali oggetti: T-shirt usate, scarpe fuori moda, vecchie pubblicità di Coca Cola.
Leonard ha suddiviso l’installazione in 25 capitoli, a loro volta organizzati in griglie uniformi, nel tentativo di ordinare e classificare la visione. «Analogue», inoltre, riflette su un altro genere di sparizione: quello dell’analogico, cui l’artista offre un ultimo, disperato tributo avendo scattato le fotografie con una Rolleiflex degli anni Quaranta.
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