Julia Stoschek: la Media art mi rende felice

Nella sede berlinese della Julia Stoschek Foundation una collettiva sul rapporto tra performance e videoart e una personale dell’artista coreano Young-jun Tak

Una veduta della collettiva «Unbound» alla Julia Stoschek Foundation
Michela Moro |  | Berlino

Julia Stoschek ha sempre avuto ben chiara la struttura della sua collezione: video, film, installazioni di immagini in movimento, ambienti multimediali, performance, suono e realtà virtuale, con l’attenzione focalizzata sul tempo, fin dal 2003.

Oggi la Julia Stoschek Foundation ha due sedi molto attive, quella di Düsseldorf, aperta nel 2007, e quella di Berlino, dove la collezionista risiede e dov’è in corso la mostra «Unbound: Performance as Rupture», aperta fino al 24 luglio 2024. Con 41 opere di 36 artisti, la collettiva ripercorre l’intersezione tra performance e video dagli anni Sessanta ad oggi, esaminando artisti di diverse generazioni che hanno utilizzato il corpo come mezzo espressivo di fronte alla telecamera per rifiutare ideologie, rivedere narrazioni storiche, sconvolgere i concetti di identità, tra le molte istanze.

Le opere storiche di Pipilotti Rist, Joan Jonas, Ulysse Jenkins, Valie Export, Patty Chang, Manfred Pernice e Katharina Sieverding si affiancano a quelle di artisti più giovani, tra cui Panteha Abareshi, Ufuoma Essi, Shuruq Harb, Tarek Lakhrissi, Mandla & Graham Clayton-Chance, Lydia Ourahmane, Sondra Perry, e P. Staff, tra gli altri. Ha ragione Julia Stoschek quando dice: «Sono sempre stato interessata all’idea di contemporaneità e ad avere nella collezione anche un’arte politica che affronti il tema di ciò che ci circonda, della nostra società attuale. Mi piace l’idea che gli artisti registrino i nostri tempi e penso che questo renda la Media art e la performance artistica così interessanti. A volte ci si sente a disagio, ma penso sia stimolante confrontarsi con questi contenuti».

Attraversando le sale, nel palazzo che fu un tempo l’Istituto di Cultura della Repubblica Ceca, in effetti si ritrovano artisti seminali come Joan Jonas e Ulysse Jenkins, ma si è costretti a misurarsi anche con la storia più recente, ad esempio nella monumentale e immersiva installazione di Akeem Smith «Social cohesiveness» (2020), che documenta sì la cultura musicale e sociale jamaicana, ma che ha come contraltare, nel giorno di un grande party pubblico a Kingston, l’attacco alle torri gemelle, con grande impatto emotivo.
Julia Stoschek. Foto: Şirin Şimşek
Della programmazione fa parte anche «Double Feature: Young-jun Tak», mostra personale con lavori video dell’artista coreano Young-jun Tak (Seul, 1989) perché la Fondazione accompagna sempre le grandi mostre collettive con personali di artisti emergenti che espongono contemporaneamente in entrambe le sedi di Berlino e Düsseldorf.

Nell’epoca di Instagram e della pittura dai colori saturi Julia Stoschek vede il futuro nei nuovi media: «Ho la sensazione che sia la forma d’arte più contemporanea perché utilizza sempre nuove tecnologie, linguaggi artistici completamente nuovi, possiamo parlare di intelligenza artificiale, anche se, ad esempio, non trovo molto interessanti gli Nft dal punto di vista dei contenuti».

La Fondazione gestisce anche la Julia Stoschek Collection, fondata nel 2002, una delle collezioni private più complete al mondo su questi argomenti, che consta di oltre 900 opere di 300 artisti dagli anni Sessanta ad oggi, e include anche fotografia, scultura e pittura che completano la focalizzazione sul tempo. La mission della Julia Stoschek Foundation pone grande attenzione nella divulgazione di questi generi artistici, forse meno popolari, con visite guidate, spettacoli, proiezioni, conferenze e workshop. La Video Lounge permette l’accesso illimitato a 200 opere della collezione e il Centro di ricerca di Düsseldorf offre l’opportunità di visualizzare l’intera collezione e ricercare più di 4mila pubblicazioni in una biblioteca di riferimento incentrata sull’arte basata sul tempo. Inoltre, con un solo biglietto d’ingresso si può tornare a visitare le mostre costellate di video a piacere, a volte non fruibili in una visita.

«Negli ultimi quindici anni abbiamo aiutato questa branca della storia dell’arte a crescere, abbiamo dato spazio agli artisti su questo argomento, tra i più recenti della storia dell’arte, e penso che sia più popolare di quando abbiamo iniziato, prosegue la collezionista. Già, una scelta molto precisa in tempi non sospetti, com’è avvenuta? «Fa parte della mia personalità, perché sono cresciuta in una famiglia molto interessata da sempre alla tecnica e alla tecnologia». Il Brose Group, che appartiene alla famiglia di Julia Stoschek, è un importante fornitore di meccatronica, sistemi meccanici, elettrici, elettronici e di sensori per auto, fondato nel 1908. «Sono nata nel 1975, sono cresciuta con la tv e quindi amo le immagini in movimento; gli inizi della Videoarte risalgono agli anni Sessanta, fanno parte della mia cultura, e ne sono ancora affascinata. Quando ho iniziato a collezionare Videoarte anche i mei famigliari non erano molto convinti e mi dicevano: “È meglio iniziare con un quadro, puoi appenderlo al muro, è più facile che avere a che fare con queste cose tecniche”, ma io sono ancora felice della mia scelta», conclude Julia Stoschek.

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