John Harris, lo specialista dei disegni di architettura

A un mese dalla scomparsa, un ricordo dello storico dell’architettura e raffinato connaisseur, autore di mostre e libri fondamentali, epicureo, conviviale e cosmopolita, «supremo ficcanaso delle case di campagna inglesi»

John Harris nel 1980. Foto RIBApix
Simon Swynfen Jervis |

Lo storico dell’architettura John Harris (Cowley, Middlesex, 13 agosto 1931 - Badminton, Gloucestershire, 6 maggio 2022), rampollo di una dinastia di tappezzieri, ha trascorso i suoi primi anni di vita in una casa bifamiliare nel sobborgo di Cowley, nella periferia occidentale di Londra. Il bambino ribelle trovava conforto nello zio scapolo Sid, la cui passione per la pesca, l’archeologia, la letteratura e l’esplorazione delle case di campagna era fonte di ispirazione. Lasciata la scuola nel 1945, all’età di 14 anni, Harris fu inserito nel reparto tappezzeria di Heal’s ma si guadagnò presto il licenziamento.

Lavori di breve durata si alternano a vagabondaggi alla ricerca di case di campagna, finché nel 1949 il Servizio Nazionale lo porta in Malesia, dove si dedica all’archeologia, diventa sergente e guadagna con una truffa sul cherosene. Nel 1952 si reca a Parigi e all’Ecole du Louvre, una noiosa delusione compensata dall’ingresso nel tesoro d’arte del Settecento del diplomatico e connoisseur Richard Penard e dalle vivaci escursioni di Harris stesso, tra cui una sortita nell’allora inespugnabile giardino di Désert de Retz, a ovest di Parigi.

Tornato a Londra nel 1953, la sua intraprendenza e il suo brio, un certo fascino piratesco e la semplice fortuna gli fecero stringere amicizia con molti protagonisti seri e non della storia dell’architettura e delle arti decorative, tra cui Francis Watson della Wallace Collection, Howard Colvin, il lessicografo degli architetti britannici, Rupert Gunnis, la cui ospitalità è leggendaria quanto la sua conoscenza della scultura britannica, e Geoffrey Houghton-Brown, un antiquario dall’occhio brillante.

Harris lavorò per Houghton-Brown finché, nel 1956, una presentazione di James Lees-Milne lo condusse alla biblioteca del Royal Institute of British Architects (Riba), una delle più grandi collezioni di disegni architettonici del mondo. Nel 1959 Nikolaus Pevsner gli chiese di collaborare a The Buildings of England: Lincolnshire (1964). Nella prefazione Harris ringraziò la polizia locale per non aver arrestato «un personaggio dal cappello nero molto sospetto che si aggirava intorno agli edifici fino al crepuscolo».

In questo periodo affina il suo ingegno nell’infiltrarsi nelle case, un divertimento e una sfida che dureranno tutta la vita. Nel 1960, non ancora trentenne, la sua vita fu trasformata dalla nomina a curatore della collezione di disegni del Riba e dal matrimonio con l’americana Eileen Spiegel, autrice delle opere più autorevoli su Robert Adam e sui libri di architettura britannici e i loro autori. Alla fine, nel 1970, Harris si assicurò una nuova sede per la collezione di disegni a Portman Square, accanto alla Home House di James Wyatt (come scoprì Eileen) e Robert Adam, sede del Courtauld Institute. Lì, nel 1972, aprì la Heinz Gallery, con un elegante allestimento progettato da Alan Irvine e Stefan Buzás (che nel 2005 è stato felicemente trasferito all’Irish Architectural Archive di Merrion Square a Dublino).

Sebbene gli interessi di Harris fossero incentrati sul XVIII secolo, le 64 mostre alla Heinz Gallery che precedettero il suo pensionamento nel 1986 furono immensamente ampie e comprendevano Richard Norman Shaw, James Stirling, Giovanni Michelucci e Carlo Scarpa. Ma vale la pena menzionare «Silent Cities», curata nel 1977 da Gavin Stamp e dedicata ai cimiteri della Grande Guerra, un tema molto caro a Harris, e la pionieristica «Eileen Gray», curata nel 1973 da Alan Irvine. Grazie all’energica curatela di Harris, la collezione crebbe rapidamente e dal 1969 all’84 fu pubblicato un catalogo esemplare in 18 volumi, a cura di Jill Lever, cui contribuì lo stesso Harris con Inigo Jones e John Webb (1972) e Colin Campbell (1973).

Tutta questa attività portò i disegni architettonici alla ribalta come mai prima d’allora, e non sorprende che nel 1979 Harris divenne il presidente fondatore dell’International Confederation of Architectural Museums, di cui fu presidente nel 1981 e presidente onorario a vita dal 1984. Sotto la sua egida, l’ora di pranzo a Portman Square, informale, epicurea e rumorosa, era un luogo di incontro e di pettegolezzo conviviale e cosmopolita. Tra i suoi numerosi frequentatori vi erano John Cornforth di «Country Life», Desmond FitzGerald, cavaliere di Glin, Christopher Gibbs, Mark Girouard, David Watkin, Bill Drummond e Gervase Jackson-Stops. Harris apprezzava tutte queste personalità, compreso l’affabile storico dell’architettura americano Henry-Russell Hitchcock, che egli contrapponeva sulla stampa al gelido John Summerson.

Con un altro amico e visitatore, Marcus Binney, curò la mostra «Destruction of the Country House», tenutasi al Victoria and Albert Museum nel 1974, memorabile per l’immenso muro di pietre rovesciate con fotografie di case perdute, che accoglieva il visitatore. Nel corso dei decenni Harris pubblicò molto, con un flusso costante di articoli a sostegno dei suoi progetti più ampi. Il primissimo Regency Furniture Designs (1961) rimane essenziale, ma fu il suo Sir William Chambers, Knight of the Polar Star (1970) a consacrarlo definitivamente come un grande.

Chambers e la sua contaminazione con il primo Neoclassicismo francese (oggetto di una vivace «querelle des savants» con l’anziano e pepato Ralph Edwards nel 1968) sono stati un tema duraturo, culminato nella mostra «Sir William Chambers: architect to George III» del 1996. Chi se non Harris, all’epoca della grande stravaganza della mostra ideata dal Consiglio d’Europa «The Age of Neo-Classicism» del 1972, avrebbe prodotto e distribuito distintivi che proclamavano, in caratteri gotici, «Neo-Classicism No!»? Inigo Jones e la sua cerchia sono stati un’altra costante: al catalogo (1979) dei disegni del Worcester College di Oxford è succeduto Inigo Jones, Complete Architectural Drawings (1989).

Un’altra freccia del suo arco è stata rivelata nell’incantevole Gardens of Delight, The Art of Thomas Robins (1976), un’introduzione a questo delizioso artista rococò, una vera e propria scoperta di Harris, e il suo A Garden Alphabet (1979) è stato un allegro compagno del catalogo della mostra «The Garden» del V&A, da lui curata. L’interesse di Harris per i dipinti, l’architettura e i giardini, che durava da tutta la vita, confluì nel suo The Artist and the Country House (1979, rivisto nel 1985), un’imponente raccolta ricca, come scrisse Girouard, di «splendida abbondanza, attenta ricerca, piaceri e sorprese».

A partire dal 1959, anche grazie a Eileen, Harris fu una presenza regolare in tutto il mondo. Molti disegni conservati presso lo Yale Center for British Art testimoniano il suo acume come consulente di Paul Mellon e nel 1987 la sua insuperabile collezione di guide di case di campagna è stata acquisita dal Canadian Centre for Architecture di Montreal, fondato dalla sua cara amica Phyllis Lambert. I suoi primi viaggi hanno dato i loro frutti nel 1971 con la pubblicazione di un imponente catalogo di disegni architettonici britannici presenti in ben 42 collezioni statunitensi, pubbliche e private, dal Connecticut alla California.

E in Moving Rooms (2007) ha raccontato il gusto e il commercio di rivestimenti e altri resti architettonici, che è alla base del culto della «period room» nei musei e che implica molta confusione e inganno: un’irresistibile fonte di ispirazione per le abilità investigative di John. Ci sono stati molti comitati e cattedre, premi e onorificenze, ma Harris è entrato per la prima volta nella coscienza pubblica come il supremo autodichiarato «ficcanaso delle case di campagna» in due memorie elettriche e a episodi, No Voice From The Hall (1998) e Echoing Voices (2002).

Presentano un cast di eccentrici e ossessivi, storie di scoperte straordinarie e di fughe picaresche, ricche di informazioni recondite e soffuse da una malinconia di fondo per tante perdite e distruzioni, ma il tono dominante è comunque quello di un disinibito piacere per i capricci dell’esperienza. Questa era storia dell’architettura in una veste completamente nuova. Acre, a volte malinconico, polemico, connoisseur e collezionista con un occhio attento, amante dei buoni alberghi e del cibo ricco (carni rosse, preferibilmente «al sangue», tartufi, panna montata e vini rossi corposi erano i suoi preferiti) e un concentrato di allegria e risate, John Harris non sopportava la noia. La sua gentilezza nei confronti dei giovani studiosi, che amava e incoraggiava, durò tutta la vita. I suoi grandi risultati accademici resteranno nel tempo, ma i suoi amici ricorderanno soprattutto la sua generosità e il suo entusiasmo.

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