«Look to Windward», di Dan Halter, veduta dell’installazione, Roma, Fondazione Filiberto e Bianca Menna. Foto: Matteo Focarelli Barone

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«Look to Windward», di Dan Halter, veduta dell’installazione, Roma, Fondazione Filiberto e Bianca Menna. Foto: Matteo Focarelli Barone

In viaggio sul fiume Limpopo con Dan Halter

La Fondazione Filiberto e Bianca Menna e il Lavatoio Contumaciale, in collaborazione con Osart Gallery di Milano e con l’Arci Nazionale, presentano un’antologica dell’artista africano (Zimbabwe, 1977) dal titolo «Look to Windward», nella sede romana della Fondazione, già Archivio Tomaso Binga

Il lavoro di Halter esplora i confini geografici, il fenomeno migratorio e altri temi politici e sociali come il razzismo e le persistenti conseguenze del colonialismo, attraverso una rielaborazione in chiave concettuale dei materiali appartenenti alla tradizione popolare e ponendo un forte accento sul loro valore simbolico. Intrecciando testo e tessuto, storia e materia, la sua poetica tesse trama e ordito di un’arte che indaga l’ingerenza dei poteri stranieri nelle politiche statali e le conseguenti profonde fratture che caratterizzano la nostra contemporaneità. Brandelli di carta, elenchi telefonici, buste di plastica, banconote, o loro ingrandimenti, insieme all’uso delle parole, pagine e pagine di testi classici o veri e propri messaggi cifrati, definiscono la grammatica di un linguaggio che si articola intorno alle realtà passate e presenti dell’Africa meridionale. Alla Fondazione Menna fino al 10 marzo.

La mostra è stata pensata come una grande distesa d’acqua da cui emergono due figure significative: «Cross the River in a Crowd and the Crocodile Won’t Eat You» (2019) e «Kuzvuva Dumbu» (2019). Il pavimento della Fondazione diventa al contempo luogo di accoglienza e, a un’analisi più approfondita, luogo di pericolo, quello in cui incorrono molte persone e animali nei pressi dei crocodile rivers sudafricani.
L’acqua a cui alludo in questa mostra è in realtà il fiume Limpopo che forma un confine naturale tra lo Zimbabwe e il Sudafrica. Per attraversare illegalmente questo confine, come hanno fatto e continuano a fare tantissimi cittadini dello Zimbabwe, costretti a fuggire senza avere i documenti necessari, bisogna superare questa barriera geografica. Riferendosi ai pericoli connessi, un proverbio africano recita: «Attraversa il fiume insieme alla folla e il coccodrillo non ti mangerà». Ma il rischio non è solo quello di incontrare un coccodrillo nel fiume. «Amgumaguma» (noto anche come «Maguma guma» o «Guma Guma») è un termine usato per descrivere i teppisti violenti che depredano questi migranti vulnerabili, derubandoli, stuprandoli e talvolta uccidendoli.

A simboleggiare i migranti, le economiche borse di plastica di fabbricazione cinese che in molti miei lavori le donne portano sopra la testa e di cui sono vestite. Queste borse sono spesso etichettate con nomi dispregiativi, utilizzati per descrivere la demografia degli immigrati di una particolare regione. Ad esempio, vengono chiamate borse «Ghana Must Go» in Nigeria, da quando i ghanesi, agli inizi degli anni Ottanta, sono stati espulsi con la forza e hanno usato queste borse per fuggire con i loro averi. Vengono definite «borse del Bangladesh» a Londra, «Polen Tasche» o «Türken Koffer» in Germania e «borse Shangaan» o «Zimbabwe» in Sudafrica.


Mutuando l’ispirazione da un’antica usanza popolare, lei ha messo a punto una tecnica esclusiva che le permette di traslare in chiave artistica e contemporanea l’arte della tessitura, generando nuovi intrecci pregni di concettualismo e stringendo un patto con la storia, pur narrandola da una prospettiva assolutamente attuale.
La tessitura con erba e canne è un mestiere tradizionale, largamente praticato nello Zimbabwe. I prodotti che ne derivano a volte includono brevi testi, come le parole «Nessuno è perfetto» intrecciate su una ciotola che ho acquistato e che è stata d’ispirazione per la mia personale versione della tessitura che realizzo usando la carta. Con essa creo mappe dello Zimbabwe, banconote, elenchi telefonici e libri classici. Inizialmente tessevo insieme due elementi differenti ma poi, nel corso del tempo, ho iniziato a tessere insieme due copie dello stesso contenuto, così da creare una nuova versione, ancora leggibile, ma caratterizzata da una sorta di slittamento della trama, come se intervenisse nel lavoro un glitch analogico.

Storicamente, la tessitura ha aperto la strada al primo telaio automatizzato di J.M. Jacquard e questo a sua volta ha portato Charles Babbage a creare le basi per il moderno computer. Questo gioco tra analogico e digitale è la spina dorsale della tecnica che utilizzo per gran parte del mio lavoro di tessitura in cui testo, tessuto e trama sono componenti fondamentali. Lingua, storia e modelli, in particolare quelli relativi all’Africa meridionale, informano la mia pratica artistica che indaga fenomeni culturali come il razzismo, la migrazione e le persistenti conseguenze del colonialismo. Fin dalla mia prima mostra, ho lavorato su testi per me rilevanti, classici come
La fattoria degli animali di George Orwell e Cuore di tenebra di Joseph Conrad, ma anche testi ideologici come il Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Il contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau.

Esposta in questa occasione anche l’opera «Progresso e Povertà» (2022), un tabellone di 2 metri x 2, che riproduce il gioco da tavolo Monopoli e che al suo interno reca il testo del famoso libro «Progresso e Povertà» (1879) dell’economista e politico statunitense Henry George, fervente sostenitore dell’imposta sul valore fondiario.
Henry George propose un sistema di tassazione chiamato Land Value Tax, efficace per compensare la disparità di ricchezza. Questa tassa sarebbe stata riscossa sulla proprietà, mentre il lavoro non sarebbe stato tassato. Lizzie Magie, autrice di giochi e sostenitrice della Land Value Tax, inventò un gioco da tavolo per dimostrare quanto potesse essere ingiusto il monopolio sulla proprietà terriera. Quel gioco, «The Landlord’s Game», si è poi lentamente trasformato nella versione che conosciamo oggi come Monopoli. Sfortunatamente per Magie, Charles Darrow rivendicò l’idea, attribuendola a sé stesso quando la vendette a Parker Brothers e così lei fu letteralmente cancellata dalla storia. Solo negli anni Settanta, quando Ralph Anspach venne citato in giudizio da Parker Brothers per il suo Anti Monopoli, si scavò nelle origini del gioco e il nome di Lizzie Magie fu riesumato dall’oblio.

«Look to Windward», di Dan Halter, veduta dell’installazione, Roma, Fondazione Filiberto e Bianca Menna. Foto: Matteo Focarelli Barone

Francesca Interlenghi, 23 gennaio 2023 | © Riproduzione riservata

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