Il vivace umorismo e la fervida fantasia di Carpaccio

Dopo Washington, arriva a Palazzo Ducale in versione modificata la retrospettiva sul pittore: i dettagli di animali, uccelli, piante, edifici in America sono stati una rivelazione. Intervista ai curatori

«Madonna che legge» (1510 ca), di Vittore Carpaccio. Washington, National Gallery  of Art, Samuel H. Kress Collection
Camilla Bertoni |  | Venezia

La mostra «Vittore Carpaccio. Dipinti e disegni» è allestita nell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale dal 18 marzo al 18 giugno, promossa dalla Fondazione Musei Civici Veneziani, in collaborazione con la National Gallery di Washington dove è stata visibile da novembre a febbraio. La rassegna è a cura di Peter Humfrey, professore emerito di Storia dell’arte all’Università di St. Andrews in Scozia e tra i massimi conoscitori dell’artista veneziano, con Andrea Bellieni, curatore dei Musei Civici di Venezia, e Gretchen Hirschauer, curatrice della pittura italiana e spagnola a Washington. Li abbiamo intervistati.

Come si compone il percorso tra le opere di Carpaccio?

A.B.: La mostra monografica si pone idealmente in continuità con la prima che si tenne a Venezia nel 1963, per intendersi quella che ispirò a Cipriani la ricetta a suo nome. Una mostra epocale che faceva il punto dopo un secolo di riscoperte e di risalita critica: furono raccolte allora in Palazzo Ducale tutte le opere, compresi i cicli, fu un’operazione dai grandi costi con grandi rischi. Gli studi non si erano fino ad allora molto interessati a Carpaccio, pareva che tutto fosse detto e saputo, si trattava di un autore la cui popolarità era prosperata sulla fama di pittore aneddotico, narrativo e piacevole. Le scoperte e gli studi recenti, dove Humfrey è stato protagonista, l’incremento del corpus grafico che si rivela oggi essere il più ampio di tutti gli autori veneziani, i restauri importanti, rivelatore quello del ciclo di sant’Orsola, mentre è in fase di ultimazione quello sul ciclo degli Schiavoni, in gran parte visibile, due cicli che rappresentano gli archetipi dell’arte di Carpaccio: senza ambire alla completezza del 1963, ma puntando a una selezione aggiornata, si sentiva la necessità di fare il punto secondo un percorso cronologico che mostra l’evoluzione dell’arte di Carpaccio.

Quali sono le caratteristiche che questa mostra permette di cogliere e quali nuove letture sono nate da questa occasione?

P.H.: Parte dell’obiettivo del catalogo è di offrire un’opportuna sintesi di ciò che già si conosce di Carpaccio, insieme a un’analisi degli aspetti più discussi della sua carriera, come la cronologia. Molti dei saggi introduttivi (sull’architettura, il disegno, la tecnica pittorica, la fortuna critica) rappresentano una lettura nuova e pionieristica di questi aspetti del suo lavoro. La mostra include anche un certo numero di opere poco note o viste raramente. Non ultimo, all’inizio di giugno si terrà alla Fondazione Cini un convegno nel quale eminenti studiosi, sollecitati dall’esposizione, presenteranno il risultato delle loro ricerche. La mostra rivelerà anche il genio dell’artista come disegnatore includendo molti fogli preparatori realizzati per i suoi dipinti e per i grandi cicli narrativi.

Quali sono gli highlight esposti?

P.H.: Molti disegni di altissima qualità e due dipinti: la «Vergine con il Bambino» da Francoforte e la «Madonna che legge» dalla National Gallery di Washington, entrambe così diverse da quelle di Giovanni Bellini. Sarà meraviglioso vedere le «Due dame» del Museo Correr unite di nuovo (la prima volta fu nel 1999 nella mostra «Il Rinascimento a Venezia» a Palazzo Grassi) alla metà superiore del dipinto, la «Caccia in valle» dal Getty Museum di Los Angeles. Riuniti anche tre pannelli dal trittico della Chiesa di Santa Fosca di Venezia.
A.B.: Dei quattro grandi cicli del percorso di Carpaccio, in mostra solo uno viene ricomposto per intero, il cosiddetto «Ciclo degli Albanesi»: formato da sei teleri quadrati provenienti da Brera, dall’Accademia Carrara di Bergamo e dalla Ca’ d’Oro, sarà accompagnato da alcuni disegni. Molti sono i pezzi straordinari in prestito da musei stranieri, molte opere anche del periodo tardo finora poco apprezzato dagli studiosi, come le ante d’organo, restaurate, da Capo d’Istria.

Rispetto alla mostra alla National Gallery di Washington, quali le differenze nella sede veneziana?

A.B.: La consideriamo un’unica mostra, con lo stesso catalogo, con una parte grafica molto importante, ma le due tappe non sono strettamente coincidenti: a Venezia alcune opere, come la «Visione di sant’Agostino» e «San Giorgio che uccide il drago», che alla National Gallery erano nel percorso della mostra, qui hanno fatto ritorno nella loro sede cittadina. Ci saranno opere da secoli lontane dalla Laguna, come i grandi teleri di Capodistria, intrasportabili a Washington.
P.H.: Alcuni capolavori esposti a Washington sfortunatamente non potranno esserci, ma in compenso, oltre ai molti disegni, sono visibili altri lavori di interesse eccezionale, come due pannelli dal polittico di Zara, e la mostra di Venezia è in qualche modo più ampia. I visitatori possono inoltre includere nel percorso le opere nelle loro sedi abituali, come il ciclo degli Schiavoni, reso più leggibile dai restauri. A Palazzo Ducale l’enfasi è posta sui molti dipinti che Carpaccio realizzò per i palazzi veneziani, come le citate Madonne da Francoforte e Washington.

Com’è stato accolto Carpaccio dal pubblico americano?

P.H.: Davvero entusiasticamente, a giudicare dai resoconti di pubblico e critica. Il lavoro di Carpaccio, pittore dal vivace umorismo e dalla fervida fantasia, risulta molto attrattivo e accessibile, anche ai bambini. C’è così tanto da ammirare nei molti dettagli di animali, uccelli, piante e negli edifici dello sfondo. In breve, la mostra a Washington è stata una rivelazione.

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