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Il Sublime incostante

Alvar González-Palacios per Giuliano Briganti

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Redazione GDA

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Un profondo conoscitore dell'animo umano, Oscar Wilde, scrive che non si dovrebbe mai prendere posizione in alcunché. Prendere posizione, sempre stando a Wilde, è l'inizio della sincerità, cui segue rapidamente il fervore, rendendo gli uomini terribilmente noiosi.

L'assioma letto così di botto, nudo e crudo, può sembrare soltanto una battuta salottiera ma i grandi moralisti, quelli veri, non hanno bisogno della toga per dire il vero. La noia, continuiamo ora noi, non è mai - o quasi - amica dell'intelligenza e forse un giusto distacco aiuta a comprendere quanto ci circonda, quanto si studia. Prendere posizione è talvolta un atto di amore ma raramente sarà un atto di discernimento intellettuale: l'intelletto - e credo che forse era questo ciò che Wilde intendeva dire - deve restare sempre libero.

Si addice tutto ciò ad un italiano? Temo di no. L'Italia - come la maggior parte dei paesi mediterranei, soprattutto quelli cattolici - è terra di parte dove è indispensabile prendere posizione: nel suo aspetto inferiore questo atteggiamento porta alla mafia, in quello superiore, alla fede religiosa, alla rivelazione.

Ora il nostro amico Giuliano Briganti giunge sano e salvo di ambedue questi morbi ai settant'anni. Per quello resta giovane e come tutti i giovani rischia spesso di disorientarci quando non di sorprenderci. Giuliano dice una cosa e ci convince di quel che dice ma il giorno dopo pensa in modo diverso e risulta altrettanto convincente. A molti questo suo stato mercuriale sembrerà poco logico, persino incoerente, ma, come voleva Wilde, l'intelligenza non può essere legata a niente né tanto meno innamorarsi di una qualche sfaccettatura della verità. L'intelligenza deve capire, capire dunque una cosa e anche l'opposto di quella cosa. Tutto è ambiguo e ambivalente, tutto è in movimento; stabile resta solo la stoltizia.

Giuliano corre: ti saluta, anzi ti bacia, e sta già pensando ad altro. Non è superficialità, questa, è rapidità, vivacità, gioia. Non è quasi mai triste e quando è triste è doppiamente triste perché non ha voglia di correre. Affabilissimo con tutti perché capisce tutti: ma il mercurio nelle vene lo costringe a capire anche chi viene subito dopo e dunque non sembra di capire più il primo. Non è paziente, dunque, ma siccome capisce sembra paziente.

- Che cosa ti sembra questo quadro? dice di un quadro che lui conosce benissimo. Vuole sapere qualcosa su di te o sul quadro? Ascolta la risposta e pensa ad altro e poi dice al vicino: - Non capisce niente, quello lì. Cattivo? Non direi: solo veloce, più veloce del primo e anche del secondo che ora lui fa sentire più intelligente. Del resto lo stesso processo destina anche a sé. Pensa una cosa ma subito dopo vede l'altra parte della verità. Straccia la pagina appena scritta (quante pagine gli ho visto stracciare!) e scrive un'altra da capo, poi straccia anche quella e una terza ancora e poi trova un momentaneo equilibrio per pentirsene dopo un mese. Peccato: sono belle le cose che ha pubblicato ma erano anche belle molte di quelle stracciate. Come un romanzo pieno di poesia e di immaginazione di cui mi lesse anni fa un capitolo: stracciato anche quello, di certo.

Tanta incertezza serve a scrivere e anche a capire: il parto di se stesso, la nascita, come volevano gli antichi, di quel che sapevamo senza saperlo. Giuliano infatti scrive bene, anzi benissimo; sembra anche diretta e naturale questa sua scrittura che invece è lavorata a lungo, faticosa. Il sapere dire il pro e il contro aiuta gli altri ad intendere quanto lui fa in quanto per spiegarlo bene a se stesso è costretto ad una lenta disamina colma di idee e di immagini. Nessuno meglio di lui ha detto del più ambivalente stile dell'arte europea, la Maniera, e nessuno meglio di lui ha spiegato le vedute degli impassibili (apparentemente) settecentisti. Quadri freddi in ambedue i casi, figli dell'emozione controllata dal cervello.

E un vero maestro il nostro amico perché resta sempre un allievo, un allievo intransigente che non sa ancora (e speriamo che non lo sappia mai) prendere posizione. Sto facendo dunque il ritratto di un infedele? Solo in parte. L'intelligenza danzerà attorno a se stessa e prima o dopo resterà di nuovo affascinata di quell'aspetto della realtà che ci aveva avvicinato al Sublime incostante. Di nuovo, parlerà con me (o con te che ora mi leggi) e sarà mite come un padre e cordiale come un fratello. Cogliamo solo la verità di quel momento, la vibrazione di un istante. La luce muterà di nuovo, la composizione assumerà altre tonalità che forse noi - non lui - non capiremo. Siamo noi gli incostanti, questo è certo.

Giuliano corre dietro ad un fantasma; insegue, come in sonetto mirabile di Juan Ramón Jiménez, la parola che solo l'Intelligenza può fargli intravedere. Il fervore (quella forma deteriore di amore che si confonde con la passione) non conta.

Redazione GDA, 02 gennaio 2018 | © Riproduzione riservata

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