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Georgina Adam
Leggi i suoi articoliLa domanda per un più efficace controllo del mercato dell’arte è molto aumentata negli ultimi anni, con più attenti controlli sui capitali che hanno spinto le transazioni illecite verso beni come l’arte. Hanno anche contribuito un acceso dibattito sul mercato dell’arte svoltosi a latere del Davos World Economic Forum in gennaio e i riflettori puntati in febbraio sull’evasione fiscale a seguito delle notizie trapelate dalla filiale svizzera della banca Hsbc. Anche per questo, l’Italia ha sottoscritto un accordo di trasparenza con la Svizzera e, poi, con il Liechtenstein.
Un’organizzazione frustrata nel suo lavoro su questa materia è l’Institute on Governance di Basilea, un ente senza fine di lucro che nel 2012 aveva prodotto un documento sulla governance del mercato dell’arte. Secondo uno degli autori, Thomas Christ, l’idea scaturì dai principi contro il riciclaggio del denaro sporco di Wolfsberg, pubblicati per la prima volta nel 2000 e controfirmati da 11 primari istituti bancari. «Ci venne l’idea di fare qualcosa di simile per il mercato dell’arte», dice. Con Claudia von Selle ha riunitoalcune importanti istituzioni, tra cui The European Fine Art Fair (Tefaf), Christie’s, Sotheby’s e Phillips, oltre all’avvocato Lawrence Kaye dello studio Herrick, Feinstein di New York. Nel 2011, dice Christ, il gruppo si riunì per discutere le questioni e, successivamente, per la stesura del documento di lavoro. «Abbiamo mantenuto un atteggiamento amichevole nei confronti del mercato, conoscendo la necessità di discrezione, dice Christ. Ma alla terza riunione, tutti ebbero un ripensamento, e avvertimmo come il loro timore di perdere quote di vendite superasse quello di perdere una buona reputazione». Quindi adesso dice: «Siamo in una fase attendista».
Alla domanda su come si siano concluse le negoziazioni, i portavoce di Christie’s e Sotheby’s dichiarano di disporre di un solido sistema interno per combattere il riciclaggio. Altri si dimostrano meno positivi in merito all’iniziativa dell’istituto di Basilea. Madelon Strijbos, una portavoce della Tefaf, dice: «Eravamo molto compiaciuti ma molto presto ci rendemmo conto di essere l’unica parte in causa ad avere apportato un effettivo contributo al progetto. Sentivamo che, perché quest’iniziativa avesse successo, dovevano essere attivamente coinvolte molte parti». Lawrence Kaye, che ha partecipato alle discussioni iniziali, dice: «La questione numero uno è quella della trasparenza. Sapere chi sono i responsabili dovrebbe contribuire a evitare altri problemi, per esempio di autenticità o di riciclaggio di denaro».
Ma, dice, l’eterogenea natura del mercato dell’arte rende difficile la creazione di regole: «Una grande casa d’aste e un una piccola galleria d’arte sono aziende tra loro molto diverse. Ma, in ogni caso, nessuna avrebbe firmato le linee guida così come erano state formulate». Egli le descrive come un «sogno impossibile». Secondo la relazione: «Sembra esserci una tendenza a discreditare le pressioni rivolte a una migliore regolamentazione del settore artistico come puro scontro mediatico. Questa è, naturalmente, una falsità che il settore stesso, se tutto va bene, potrà affrontare dal suo interno, prima che si intromettano i legislatori nazionali; o prima che l’intero settore scivoli verso ambigui comportamenti di mercato». «Se tutto questo fosse finalizzato unicamente a proteggere i ricchi, dice Christ, allora non ci sarebbe bisogno di interventi governativi. Ma il riciclaggio di denaro sporco è un’attività criminale globale, con ripercussioni a molti altri livelli. Il mercato dell’arte dovrebbe sapere da dove arriva il denaro e ignorare il problema gli si potrebbe prima o poi ritorcere contro».
Il documento di lavoro dell’Istituto di Basilea è disponibile on line www.baselgovernance.org/publications/372
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