Marina Abramović «Balkan Baroque (Bones)» 1997, video a un canale (b/n, sonoro), 9’42”. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA © Marina Abramović. Marina Abramović by SIAE 2018

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Marina Abramović «Balkan Baroque (Bones)» 1997, video a un canale (b/n, sonoro), 9’42”. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA © Marina Abramović. Marina Abramović by SIAE 2018

Il sacrificio di Abramovic

A Palazzo Strozzi una retrospettiva dell’artista

Già dal titolo, «The Cleaner», con l’allusione al fare «pulizia del passato, della memoria, del destino», conservando, come in una casa, solo ciò a cui teniamo, una mostra di Marina Abramovic, dal 21 settembre al 20 gennaio a Palazzo Strozzi suggerisce un bilancio della densissima attività dell’artista serba (Belgrado, 1946).

È significativo che questa retrospettiva si svolga in Italia, Paese al quale l’artista è legata dal tempo di memorabili performance quali «Imponderabilia », col compagno Ulay, alla Galleria d’arte moderna di Bologna nel 1977, o «Marienbad» a Volterra nel 2001 (in occasione di «Arte all’arte» dell’Associazione Arte Continua).

Curata da Arturo Galansino, Lena Essling, Tine Colstrup e Susanne Kleine, in collaborazione con la stessa Abramovic, la mostra, suddivisa in sezioni tematiche, muove da primissimi lavori quali l’«Autoritratto » del 1965 o i dipinti delle serie «Truck Accident» (1963) e prosegue con le principali performance, rievocate da immagini e video, in cui si alternano azioni di grande violenza (come il gesto del pettinarsi con la spazzola che diventa autolesionismo in «Art Must Be Beautiful/Artist Must Be Beatiful» del 1975, o come le ossa di bovino raschiate a evocare il dramma della guerra in Bosnia in «Balkan Baroque», opera che le valse il Leone d’Oro alla Biennale d Venezia, del 1997) ad altre composte di gesti rituali e silenziosi fino allo scambio di soli sguardi in «The Artist is present» al MoMA nel 2010.

Ma a questi materiali di archivio si aggiungono anche le re-performance negli spazi del Palazzo, secondo l’«Abramovic Method», pratica che riattualizza l’atto performativo, conferendogli una sorta di immortalità. 

Già sperimentato in «Seven Easy Pieces » al Guggenheim (dove la stessa Abramovic ripeteva le azioni di sette celebri artisti), il metodo vede le opere dell’artista ripetute e «riattivate» da altri performer (come già al Pac di Milano del 2012), caricandosi però, negli spazi rinascimentali del palazzo fiorentino, di nuove suggestioni e significati. La mostra è organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi, prodotta dal Moderna Museet di Stoccolma in collaborazione con Louisiana Museum of Modern Art di Humlebæk e Bundeskunsthalle di Bonn.

Marina Abramović «Balkan Baroque (Bones)» 1997, video a un canale (b/n, sonoro), 9’42”. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA © Marina Abramović. Marina Abramović by SIAE 2018

Laura Lombardi, 21 settembre 2018 | © Riproduzione riservata

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Il sacrificio di Abramovic | Laura Lombardi

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