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Il rebus Vivarini

Veronica Rodenigo

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A Palazzo Sarcinelli la prima retrospettiva del trio muranese

Inaugura il 20 febbraio a Palazzo Sarcinelli la prima monografica dedicata ai Vivarini, il trio muranese costituito da Antonio (1420 ca - 1484?), Bartolomeo (1432 ca - post 1491?) e Alvise (1445 ca-1505?), rispettivamente fratello minore e figlio del primo. Organizzata da Civita Tre Venezie la mostra «I Vivarini. Lo splendore della pittura tra Gotico e Rinascimento» riunisce sino al 5 giugno oltre trenta opere databili dal 1440 al 1500.

Insieme a una delle prime tavole di Antonio come il «Polittico di Parenzo» (1440, Parenzo, Basilica Eufrasiana), giungono nella cittadina veneta anche la celebre «Madonna con Bambino e Santi» del Museo napoletano di Capodimonte (1465) di Bartolomeo e, per la prima volta in Italia, la «Sacra conversazione» (1500) di Alvise proveniente dal Musée de Picardie di Amiens, per un complessivo corpus che tra i prestatori vede Gallerie dell’Accademia e Museo Correr di Venezia, Accademia Carrara di Bergamo e Pinacoteca Metropolitana Corrado Giaquinto di Bari.

La parabola temporale si propone di restituire l’intreccio tra personalità diverse e diversi linguaggi formali. «I tre personaggi hanno un’individualità molto forte all’interno della bottega, spiega il curatore Giandomenico Romanelli. Antonio è l’uomo che media il passaggio tra il Tardogotico e primo Rinascimento. Il fratello Bartolomeo risentite in maniera forte del magistero del Mantegna a Padova e poi dei toscani che sono passati nella realtà patavina e veneziana. Antonio si fa carico di un rinnovamento che è ricco dell’esperienza tardogotica tra fine Trecento e inizi Quattrocento e la porta innanzi superandola. Bartolomeo invece, per sue attitudini, guarda a occhi spalancati quanto gli succede attorno. Quello che li accomuna è l’esperienza padovana, quando vengono chiamati agli Eremitani e si trovano vicini a tutto il clan squarcionesco e soprattutto a Mantegna. Gli anni padovani, che vedono coinvolti Antonio, il cognato Giovanni d’Alemagna e il giovane Bartolomeo, rappresentano il passaggio ineludibile per tutta la storia dei Vivarini. Bartolomeo rimarrà legato a questo mantegnismo esasperato ed espressionistico di grandissima suggestione ma che è l’opposto della ricerca atmosferica tonale di Giovanni Bellini».

Alvise come si colloca all’interno di questa parabola stilistica? 

Alvise costituirà in mostra la sorpresa più straordinaria: parte dalle acquisizioni del padre e dello zio e porta sino alle estreme conseguenze quel tipo di pittura. Egli recepisce la lezione di Antonello da Messina e al contempo legge la produzione del laboratorio di Giovanni Bellini. Sempre senza rinunciare alla sua personale lettura del primo Rinascimento, continua a essere alternativo all’itinerario classico Bellini-Giorgione-Tiziano. 

Non crede che i Vivarini appaiano nell’immaginario collettivo come figure un po’ trascurate all’interno del nostro panorama storico-artistico? 

Non sono stati dimenticati, perché gli specialisti li hanno sempre seguiti, ma questi tre personalità artistiche non si sono collocate nell’opinione pubblica. In questo hanno responsabilità anche gli storici e i critici: chi non era nella linea vincente della pittura veneziana Bellini-Giorgione-Tiziano si posizionava su una sorta di binario morto. Questa convinzione va sradicata perché il fatto di condurre una ricerca autonoma rispetto a quella di Bellini non significa che uno debba esser considerato come passatista o reazionario. Si può dire che i tre Vivarini abbiano costituito una sorta di rebus che i critici hanno dovuto un po’ alla volta digerire e far digerire. Un’ambizione della mostra è proprio questa. 

Con questa proposta si chiude un ciclo (iniziato con «Un Cinquecento inquieto» nel 2014 e proseguito con i Carpaccio nel 2015) che a Palazzo Sarcinelli ha visto protagoniste personalità artistiche forse minori per il grande pubblico. Quale bilancio ne trae?

Attenderei la chiusura di quest’ultima mostra prima di tracciare un bilancio. L’obiettivo era proporre una lettura, anche di personaggi più celebri come i Carpaccio, non usuale. La storia dell’arte che cerco di fare è quella che si contamina con le vicende storiche e culturali perché la sola filologia risulterebbe sterile. Il ciclo ha una sua compiutezza ma si sta lavorando per portare avanti questo metodo. Considerato anche il riscontro di pubblico forse vale la pena di continuare.

Veronica Rodenigo, 17 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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