Il necrologio di fantasia come omaggio al personaggio

L’artista Adam McEwen, che per la sua prima personale ha ideato ipotetici tributi a celebrità viventi (Greta Thunberg, Dolly Parton), è intervistato da Louis Jebb, specialista di «obituaries» per «The Art Newspaper»

Gli i potetici necrologi di Adam McEwen di Greta Thunberg, Sadhguru, Dolly Parton e David Hammons a Gagosian, Davies Street, Londra © Adam McEwen. Foto Lucy Dawkins. Cortesia di Gagosian
Louis Jebb |

«Sono persone che amo. Sono omaggi», dice Adam McEwen, l’artista nato a Londra e residente a New York, a proposito di un nuovo gruppo di ipotetici necrologi di celebrità viventi che ha creato per la sua prima personale a Londra (aperta da Gagosian in Davies Street fino all’11 marzo; sua anche una personale che apre oggi 10 febbraio da Gagosian a Roma, per chiudere il primo aprile). I facsimili ingranditi di necrologi di giornale di McEwen affrontano la perdita immaginaria di sette soggetti ancora viventi: David Hammons, artista riservato, Jaron Lanier, pioniere della tecnologia e suo profeta, Greta Thunberg, attivista contro il cambiamento climatico, Sadhguru, leader spirituale e mistico e i cantanti Dolly Parton, Grace Jones e Marc Almond.

«Penso alle persone che scelgo, dice McEwen, come modelli, in un certo senso, o guide [di vita]». Afferma di vedere il messaggio collettivo dei suoi soggetti, tutti decision maker e innovatori, come essenzialmente ottimista. McEwen ha realizzato queste opere, alte 60 cm, per la mostra da Gagosian, in Davies Street, in modo che possano essere viste e lette, come manifesti, da due o tre persone alla volta.

Nella loro semplice presentazione grafica, con fotografie in bianco e nero poste al centro sotto titoli funzionali e scansionate in modo da assomigliare alla realistica risoluzione di 200 dpi utilizzata per la stampa sulle rotative dei giornali, le opere sono ancorate al mondo visivo della metà degli anni Novanta, quando McEwen, neolaureato del California Institute of the Arts (CalArts) in cerca di fondi per la sua vita d’artista, lavorava come scrittore di necrologi al Daily Telegraph di Londra.

I pezzi di McEwen giocano con il fatto che un articolo di necrologio non riguarda la morte in sé, ma è una descrizione, anche se non acritica, dei risultati personali; la prima bozza di una biografia; un’analisi del cambiamento apportato dal tempo alla reputazione personale; un articolo che potrebbe rispondere al precetto di Carl Jung secondo cui «gli amati morti sono il nostro compito».

McEwen vede i suoi necrologi concettuali, nel modo in cui ricordano il processo decisionale dei loro soggetti, come «ottimisti di fronte all’oblio»: come se egli avesse fatto degli «amati vivi» il suo compito.

Vita da scrittore di necrologi
McEwen ha scritto per «The Daily Telegraph» in un periodo in cui i giornali di qualità a Londra consideravano le loro pagine dei necrologi, che erano state stimolate dall’ingresso nel mercato di «The Independent» nel 1986, come importanti arene di competizione editoriale in un momento in cui si gareggiava per essere leader del mercato e giornale di riferimento per questo genere giornalistico.

Il «Daily Telegraph» e «The Times» si attenevano alla pratica storica di pubblicare articoli di necrologi non firmati, aspirando a un’obiettività anonima e distaccata. «The Guardian» ha seguito la pratica dell’Independent (adottata anche da «The Art Newspaper» dopo il suo lancio nel 1990) di pubblicare articoli firmati.

In questo modo l’identità dell’autore concorre alla trasparenza editoriale grazie alla quale vengono valutati i risultati del soggetto. Al contempo si spiega il contesto della sua vita lavorativa e l’uso giudizioso della prima persona può essere impiegato in modo utile.

Il linguaggio, così come il design tipografico, dei pezzi di McEwen è una testimonianza del «Daily Telegraph» degli anni Novanta, dove il capo di McEwen era il celebre Hugh Massingberd (1946-2007), uno storico e genealogista di carattere che aveva ideato una prosa laconica, incisiva e formalizzata per la pagina dei necrologi del Telegraph. «C’era uno stile asciutto e sobrio, dice McEwen, che... era un modo molto intelligente di far intendere le cose... pur cercando di essere realistici».

Quando a McEwen veniva chiesto di scrivere un necrologio in anticipo (per essere conservato in archivio dal «Daily Telegraph») o in risposta alle notizie (scrisse un articolo su John F. Kennedy Junior quando il piccolo aeroplano che Kennedy stava pilotando scomparve durante il tragitto da New York a Martha’s Vineyard il 16 luglio 1999), a volte si meravigliava di dover scrivere una storia istantanea quando non aveva alcuna conoscenza personale: tutto ciò che produceva dipendeva dalla fiducia nelle fonti pubblicate, dai ritagli di giornale, da Internet, ancora sul nascere.

Quella sfida fu per McEwen un primo caso di «creazione di certezza su basi incerte». Nei decenni successivi ha dimostrato nella sua arte un interesse per l’imprevedibile reale, per il decadimento dei materiali, per le date di scadenza e per lo spostamento delle fondamenta della vita, quando l’unica certezza è la finitezza della vita.

Un ipotetico Malcolm McLaren
Il primo esercizio di McEwen di ipotetico necrologio è stato un pezzo su Malcolm McLaren, il padrino del punk, che ha ideato utilizzando i caratteri e il design del Daily Telegraph. Fu esposto in una mostra collettiva a Londra, organizzata dal gallerista Paul Stolper, dove «a tutti fu data una camicia di mussola di Vivienne Westwood». Non molto tempo dopo, nel 2000, McEwen, all’epoca trentacinquenne, abbandonò la sua vita di necrologista e si trasferì a New York per ricominciare come artista.

Il documentario sul gruppo musicale Sly and the Family Stone ha aiutato McEwen nel suo primo periodo nella Grande Mela. Resistendo alle offerte di altri progetti televisivi ben pagati, ha iniziato una serie di lavori ispirati a un altro genere di messaggistica sobria, molto diversa da quella del Daily Telegraph: i cartelli «Sorry», in vendita nei negozi di ferramenta di New York, che recitano «Sorry, we’re closed». «Sorry, we’re sorry», «Sorry, we’re dead», dice McEwen, riflettendo su quella serie. «La questione era davvero il fatto di non essere in grado di fare arte». Ma ha esposto le sue opere «Sorry» in mostre collettive e, da lì, le cose sono «lentamente esplose».

Allo stesso tempo, i necrologi concettuali, rappresentati dal pezzo di McLaren, «chiedevano di essere realizzati». «Il successivo è stato Rod Stewart, racconta McEwen, e poi Bill Clinton e Nicole Kidman». Queste opere sono state esposte in una serie con sette pezzi simili nel 2004.

Nel 2011, McEwen ha aggiunto al gruppo lo scrittore Bret Easton Ellis, la leader birmana Aung San Suu Kyi e la principessa Stéphanie di Monaco. Non c’erano «bugie» nei pezzi, dice McEwen, niente di inventato, tranne la dicitura standard «che è morto, all’età di...». «Era solo nella selezione dei pezzi che la mia predilezione era evidente», dice. «Sono persone che amo».

Nel 2020-21, il Metropolitan Museum of Art di New York ha incluso l’opera della Kidman di McEwen, «Untitled (Nicole)» (2004), proveniente dalla sua collezione, nella rassegna «Pictures, Revisited» di artisti che hanno lavorato con l’appropriazione di immagini.

Nella sua mostra «Execute» dell’aprile 2022, presso Gagosian (980 Madison Avenue, New York City), McEwen ha arricchito il suo elenco di ipotetici necrologi con opere su tre dei soggetti della sua mostra londinese: Sadhguru, Lanier e Thunberg. Il format è rimasto invariato e l’unica cosa che è cambiata in un decennio è stata la selezione delle persone. «Forse è per questo che non l’ho fatto per un po' di tempo», afferma.

«Negli ultimi tre o quattro anni abbiamo vissuto in un mondo molto diverso...», aggiunge. «Improvvisamente mi è sembrato interessante chiedermi chi è importante per me... (Thunberg, Sadhguru e Lanier) hanno grandi pensieri e sono molto attivi. Greta Thunberg è ovviamente in primo piano per la problematica del cambiamento climatico, tematica a cui tutti pensiamo. Sadhguru è l’emblema di una certa nozione: in che cosa siamo impegnati con il capitalismo industriale occidentale? Perché stiamo lavorando? Esiste un’alternativa? Jaron Lanier che stiamo scivolando in questa strana realtà digitale, guidata dal profitto».

Le personalità scelte da McEwen «devono avere un valore stabile nel tempo. ... Bisogna ricordare a se stessi: “So che questo sembra importante ora, ma c'è un’ottima possibilità che tra cinque anni non sembri più importante” … Il tempo cambia la posizione nei confronti di un dato argomento. È prismatico».

Quando ha realizzato un ipotetico pezzo su Aung San Suu Kyi nel 2011, lei era riconosciuta a livello mondiale come un’eroina pro-democrazia. «Tre o quattro anni dopo, la storia era cambiata in un modo che sarebbe stato molto difficile da prevedere», dice McEwen. «Questo rende l’opera d’arte sempre più “insicura”. Opera su un terreno mutevole. È interessante. Significa che il rapporto tra spettatore, opera d’arte e realtà, già illusorio e nebuloso in partenza, lo diventa ancora di più».

La mostra londinese di McEwen comprende opere, un disegno a carboncino su carta del 2015 e una scultura in acciaio fresato del 2023,«Rain Puddle», che riflettono altri aspetti dell’ampia pratica sviluppata negli ultimi 20 anni.

Si tratta di lavori concettuali, scultorei e installativi, tra cui facsimili di oggetti di uso quotidiano, taniche, bancomat, orologi, condizionatori, casseforti, realizzati in grafite, spugna e altri materiali. Questi pezzi di uso quotidiano, ha dichiarato nel 2018, rendono «un oggetto molto familiare momentaneamente non familiare». Il «momentaneamente non familiare» è un effetto che ha ottenuto con le sue opere della serie «Sorry» due decenni fa ed è un effetto che genera ancora oggi con la gamma, dalla natura ipotetica, delle sue opere di necrologi.

La mostra londinese si svolge in concomitanza con «Adam McEwen: XXIII», alla galleria Gagosian di Roma, con una serie di dipinti ispirati dall’amore dell’artista per le penne a sfera. In questo nuovo corpo di opere, McEwen rappresenta la «penna a sfera vista attraverso la lente del primissimo Lichtenstein o dei dadaisti o del disegno meccanico». Afferma di aver pensato a questo approccio per 10 anni («La semplicità del primo Lichtenstein. E se disegnassi questa penna in quello stile? Forse parlerà a molte persone»).

Un format immutabile
Mantenendo invariati per oltre 20 anni il formato, la tipografia e il tono sobrio, impersonale e autoriale dei suoi necrologi, McEwen si è concesso «una sorta di distanza» che mette in risalto i cambiamenti nella scelta delle personalità e il tipo di decisioni che hanno preso nella loro vita.

Il pezzo di McEwen su David Hammons, un artista che ammira particolarmente, ha un significato speciale per lui. Il sottotitolo recita: «Artista la cui visione poetica radicata nella cultura nera americana ha prodotto opere di sconcertante potenza». Il testo principale dell’articolo testimonia la conoscenza di McEwen dell’opera, di quel potere sconcertante, e dimostra la neutrale nitidezza del suo stile «asciutto e sobrio», da Telegraph degli anni Novanta.

L’opera di Hammons, scrive McEwen, «può anche essere caustica come i cappotti di pelliccia incendiati e spalmati di vernice che ha esposto, in collaborazione con la moglie Chie Hasegawa, in una prestigiosa galleria nell’Upper East Side di New York nel 2007; o caleidoscopica nel significato, come in “Higher Goals” (1983), un canestro da basket alto 17 metri in un lotto vuoto ad Harlem».

Quando gli viene chiesto che cosa vuole che la gente colga dalla sua mostra londinese, McEwen risponde nel suo solito modo deciso e riflessivo: «Che capiscano che siamo tutti più potenti di quanto pensiamo. Abbiamo la possibilità di dire “No”. Abbiamo il potere di negoziare i fattori che sembrano avere il controllo su di noi e che, in realtà, non ce l’hanno».

«Guardate una persona come Dolly Parton o David Hammons, un artista incredibile, dice McEwen. Queste sono persone che “non si sono comprate”. Loro hanno pensato: “Dimostrerò a me stesso/a che posso cambiare le regole”. E poi l’hanno fatto. Queste guide cambiano le regole».

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