«Grandmother Moorhead‘s Aromatic Kitchen» (1975) di Leonora Carrington © Leonora Carrington, by SIAE 2022

Image

«Grandmother Moorhead‘s Aromatic Kitchen» (1975) di Leonora Carrington © Leonora Carrington, by SIAE 2022

Il Mago Max e la strega Leonora alla Peggy Guggenheim

Ernst e Carrington sono la «coppia alchemica» intorno alla quale, da Delvaux a Dalí, da Brauner a Dorothea Tanning, si esplora la tradizione magica e freudiana del Surrealismo

Da qualche tempo i curatori d’arte contemporanea volgono lo sguardo verso l’irrazionale, alla ricerca di autori non omologati (i «savant», gli outsider) o di artisti che, per dirla con Roger Caillois, hanno vissuto «au cœur du fantastique». Il rilievo concesso a Hilma af Klint, ovvero alla voce esoterica dell’Astrattismo, o alla tradizione magica e rituale del Sud-Est astiatico nella Biennale di Venezia del 2013, all’interno del «Palazzo Enciclopedico» eretto da Massimiliano Gioni, ha rappresentato in tal senso una tappa decisiva per questo percorso, proseguito sino ad oggi, ad opera, tra le altre, di curatrici come Carolyn-Christov Bakargiev e Cecilia Alemani.

Quest’ultima ha individuato in Leonora Carrington lo spirito guida della Biennale che si inaugura in questo mese, restituendo così alle donne quel ruolo tutt’altro che secondario nella compagine surrealista e, soprattutto, rivendicando alla visionarietà un ruolo forse taumaturgico rispetto ai tempi terrificanti che stiamo attraversando.

Carrington, con il suo compagno Max Ernst, costituisce la coppia regina della mostra che si apre dal 9 aprile al 26 settembre presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia: tra i punti chiave di questa rassegna curata da Gražina Subelyté, associate curator presso il museo di Ca’ Venier dei Leoni, è la sala che rivede uniti dopo ottant’anni «La vestizione della sposa» di Ernst e il ritratto dedicatogli dalla tormentata compagna nel 1939.

L’alchimista appassionato di occultismo e psicanalisi e la strega pittrice cresciuta tra le favole celtiche costituiscono la «coppia alchemica» che apre la porta alle stanze intercomunicanti in cui il Surrealismo s’incarna nella magia. Dal romanzo Nadja al Manifesto del Surrealismo sino a L’arte magica (1957) aveva più volte fatto ricorso al messaggio esoterico, all’alchimia, al mito, alla metamorfosi, a un percorso di ascesi mistica, strizzando l’occhio a Freud e alla sua analisi su Totem e tabù.

E andava a rintracciare, con questa chiave, gli archetipi surrealisti, da Victor Hugo ed Edgar Allan Poe sino, all’indietro, verso le zone d’ombra del Rinascimento, alle incisioni di Dürer e di Hans Baldung Grien («Lo stalliere stregato»). La mostra dà ampio spazio alle donne surrealiste (oltre alla Carrington, Leonor Fini, Dorothea Tanning e Remedios Varo), capaci di articolare iconografie di forte impatto narrativo, e a figure meno popolari, come l’italoamericano Enrico Donati.

Il nucleo surrealista della Collezione Peggy Guggenheim e alcuni straordinari prestiti completano la mostra (una sessantina di opere di 20 autori), che schiera personalità di rilievo anche sul piano teorico, come Kurt Seligmann, autore nel 1948 di The Mirror of Magic, uno studio sulla magia, l’occultismo e il folklore, e ovviamente i protagonisti assoluti del movimento, da Brauner a Dalí, da Delvaux a de Chirico, quest’ultimo con un capolavoro assoluto come «Il cervello del bambino» (1914, in arrivo dal Moderna Museet di Stoccolma).

In quel dipinto si danno convegno sogni e conflitti, Edipo e Dioniso, Nietzsche e lo spiritismo. Per de Chirico era semplicemente «le revenant», il ritornante, personaggio inquietante tanto oggi quanto ai tempi di Breton e dei surrealisti, esploratori di una dimensione diversa rispetto agli orrori della realtà.

«Grandmother Moorhead‘s Aromatic Kitchen» (1975) di Leonora Carrington © Leonora Carrington, by SIAE 2022

«The Pleasures of Dagobert» (1945) di Leonora Carrington © Leonora Carrington, by SIAE 2022

«Portrait of the Princess Francesca Ruspoli» (1944) di Leonor Fini © Leonor Fini, by SIAE 2022

«The Child’s Brain (Le Cerveau de l’enfant)» (1914) di Giorgio de Chirico © Giorgio de Chirico, by SIAE 2022

«Portrait of Max Ernst» (ca. 1939) di Leonora Carrington © Leonora Carrington, by SIAE 2022

«Attirement of the Bride» (1940) di Max Ernst © Max Ernst, by SIAE 2022

«Black Magic (La magie noire)» (1945) di René Magritte © René Magritte, by SIAE 2022

Franco Fanelli, 07 aprile 2022 | © Riproduzione riservata

Articoli precedenti

Da oltre cinquant’anni l’artista torinese dialoga severamente con la storia della pittura per rivelarne l’alfabeto nascosto. Scrive il «New York Times»: «Merita un posto nella storia mondiale dell’Astrattismo»

A Bassano del Grappa, il rapporto tra pittura e stampa nella Venezia cinquecentesca

Le controversie di un’artista idolatrata da ormai settant’anni

È morto a 90 anni il gallerista che con Fortunato Massucco fondò nel 1965 la Bottega d’Arte di Acqui Terme. Una passione trasmessa al figlio Carlo, cresciuto tra le opere di Licini, Melotti, Morandi e Carrà

Il Mago Max e la strega Leonora alla Peggy Guggenheim | Franco Fanelli

Il Mago Max e la strega Leonora alla Peggy Guggenheim | Franco Fanelli