Il generale Gordon modello di eroe cristiano

Le vicende della scultura in bronzo del combattente britannico rispedita da Khartoum a Londra

La statua di Gordon a Khartoum
Marco Riccòmini |

Come sia andata a finire lo sa chiunque abbia visto il film «Khartoum». Sul finale della pellicola diretta nel 1966 da Basil Dearden, Charlton Heston, nei panni del generale Charles George Gordon (1833-85), detto «il cinese» (perché servì in Cina durante la seconda guerra dell’oppio), prendendo atto della disfatta della sua guarnigione e dell’impossibilità di resistere oltre, esce dalla sua stanza e si offre impavido all’orda di indigeni urlanti giunti fino al cuore del suo palazzo affacciato sul Nilo azzurro.

Al cospetto della sua figura, disarmata (nella finzione), questi inizialmente indietreggiano; poi, uno più lesto mette da parte gli scrupoli e, disobbedendo agli ordini del Mahdi (Laurence Olivier), infilza l’arcinemico con un colpo di zagaglia. La scena cinematografica ricalca alla lettera il «General Gordon’s Last Stand», un dipinto del 1893 di George William Joy, tra le prime trascrizioni artistiche (e romanzate) dell’epopea sudanese dell’eroe dei Royal Engineers.

Quando a Londra, alla fine della seconda guerra mondiale, si dibatté se rimettere al suo posto la statua che lo ritraeva in piedi oppure no, Winston Churchill difese la sua figura «al di fuori e al di sopra dei ranghi dei comandanti militari e navali», descrivendolo come «modello di eroe cristiano» e ottenendo che il bronzo venisse ricollocato lungo il Victoria Embankment. Meno fortuna ebbe l’opera dello scultore Edward Onslow Ford (1852-1901), posta nel 1904 sopra un alto basamento in pietra all’incrocio tra quelle che allora si chiamavano Gordon e Victoria Avenue (oggi Gamma ed El Qasr Avenue) nel centro di Khartoum.

Fez sulle ventitré, il generale «dirigeva il traffico» dall’alto d’un cammello, bardato a festa. Se, nel momento in cui sto scrivendo, ossia agli inizi di aprile, il termometro qui sfiora già i 43 gradi, si può immaginare quanto arroventato potesse diventare quel bronzo sotto il sole d’estate. Ma la patata bollente non rimase a lungo a Khartoum: a seguito dell’indipendenza ottenuta dal Sudan nel 1959, la statua venne rispedita al «mittente», e oggi riposa al fresco presso la Gordon’s School di Woking, vicino a Londra. Un gesto elegante e al contempo di rottura che oggi, alla luce della «cancel culture» occidentale, pare quasi rivoluzionario.

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