Gustave Courbet, «L’uomo ferito», 1844-54, olio su tela, Parigi, Musée d’Orsay

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Gustave Courbet, «L’uomo ferito», 1844-54, olio su tela, Parigi, Musée d’Orsay

Il bello di Courbet

A Palazzo dei Diamanti il padre del realismo, dopo 50 anni dall’ultima grande mostra italiana

Dal 22 settembre al 6 gennaio Palazzo dei Diamanti ospita la grande mostra «Courbet e la natura», curata da Dominique de Font-Réaulx, Barbara Guidi, Maria Luisa Pacelli, Isolde Pludermacher e Vincent Pomarède. «La mostra si inserisce in un progetto pluriennale focalizzato sulla valorizzazione di artisti dell’Ottocento e Novecento che hanno rappresentato una rivoluzione destinata a segnare profondamente l’arte successiva, spiega Maria Luisa Pacelli, direttrice di Palazzo dei Diamanti. L’ultima grande mostra italiana dedicata a Courbet fu quella, curata tra gli altri da Palma Bucarelli, realizzata nel 1969 a Roma presso Villa Medici. La nostra proposta si compone di una cinquantina di opere provenienti da muse internazionali e si rivolge a un target molto ampio, trattandosi di un progetto di qualità rivolto al grande pubblico che non dimentica però il mondo degli studiosi e degli appassionati».

Impostato secondo una logica tematica, il percorso espositivo si suddivide in 10 sezioni: un «Prologo» costituito da due opere capitali della produzione di Courbet come l’autoritratto giovanile «L’uomo ferito» (1844-54), ancora debitore della cultura figurativa romantica, e «La quercia di Flagey» (1864); «Cartoline dalla Franca Contea», che espone anche il celebre «Autoritratto con il cane nero» del 1842; «La natura e la figura» con, tra le altre, l’opera-chiave «Fanciulle sulle rive della Senna» del 1857; «Il Mediterraneo»; «Le grotte»; «Viaggi e confronti», che rende omaggio anche a Jean-Baptiste Camille Corot; «Paesaggi di mare», che presenta parte della celebre serie delle «Onde»; «Natura morta: paesaggi della nostalgia »; «Svizzera» e «La caccia».

«Il bello è nella natura e si incontra nella realtà sotto le forme più diverse. Appena lo si trova, esso appartiene all’arte, o piuttosto all’artista che sa vederlo», scriveva Gustave Courbet nel 1855. E infatti, come motiva la Pacelli, «la relazione con il paesaggio, sia esso protagonista assoluto o fondamentale comprimario dell’opera insieme alla figura umana, attraversa l’intera carriera artistica del pittore francese, essendo strettamente legata alla sua biografia. Per la mostra ferrarese abbiamo voluto dedicare una sezione anche al tema della caccia, molto caro al pittore ma meno conosciuto qui in Italia».

Courbet nacque nel 1819 a Ornans, nella Franca Contea, non lontano dalla Svizzera, morì nel 1877 e fin dall’arrivo a Parigi nel 1839 si specializzò nella pittura di paesaggio, trasformandola in un’abile strategia di autopromozione e diversificazione rispetto agli altri artisti. Una scelta che non mancò di colpire il ricco banchiere e collezionista Alfred Bruyas, che divenuto dal 1853 amico e mecenate dell’artista gli fece scoprire i paesaggi del meridione francese.

Riconosciuto dagli impressionisti come precursore e maestro e adorato da Cézanne, Courbet «conosceva profondamente la pittura accademica e la tradizione del “museo”, continua Maria Luisa Pacelli, ma si è anche trovato a lavorare agli albori della fotografia: un nuovo linguaggio visivo che ha rivoluzionato profondamente il mondo dell’arte, in particolare la pittura. Per questo l’allestimento della mostra, curato dallo studio ferrarese INOUTarchitettura, propone in corrispondenza delle finestre di Palazzo dei Diamanti dei lightbox con foto d’epoca, scattate dai grandi pionieri della fotografia francese dell’Ottocento».

Una curiosità riguarda infine il catalogo: il testo di apertura è del romanziere inglese Julian Barnes, appassionato ammiratore di Courbet e profondo conoscitore della cultura ottocentesca francese.

Gustave Courbet, «L’uomo ferito», 1844-54, olio su tela, Parigi, Musée d’Orsay

Elena Franzoia, 21 settembre 2018 | © Riproduzione riservata

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Il bello di Courbet | Elena Franzoia

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