«Mountains and Molehills» (2022), di Fiona Tan, Amsterdam Eye Filmmuseum. Foto: Studio Hans Wilschut

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«Mountains and Molehills» (2022), di Fiona Tan, Amsterdam Eye Filmmuseum. Foto: Studio Hans Wilschut

I viaggi di Tan e le distopie di Imhof

Le due monografiche sono ospitate da due musei di Amsterdam: rispettivamente l’Eye Filmmuseum e lo Stedelijk Museum

«Accendi un sogno e lascialo bruciare in te», scriveva Shakespeare. Le parole del grande poeta inglese suonano particolarmente appropriate in una città come Amsterdam (sogno urbano sull’acqua) e in due musei cittadini (l’Eye Filmmuseum e lo Stedelijk) le cui mura ospitano rispettivamente le personali di Fiona Tan e Anne Imhof. Due artiste il cui lavoro non potrebbe essere più distante per atmosfera e temperatura: se i sogni di Tan, fatti di intime immagini in movimento, bruciano lenti, quelli di Imhof esplodono all’improvviso, con la stessa intensità degli incubi.

Racchiusa nello scrigno adamantino dell’Eye Museum, «Fiona Tan: Mountains and Molehills» (fino all’8 gennaio) presenta perlopiù videoinstallazioni dell’artista australiana di stanza in Olanda, realizzate tra il 2002 e oggi. Apre il percorso espositivo «Vertical Wide, Vertical Red, Vertical White» (2018), un trittico di immagini video del traffico di Los Angeles: le luci e il lento scorrere delle auto compongono una coreografia che induce al sogno e alla meditazione.

La strada si fa paesaggio mentale introducendo il viaggio, pur nella sua declinazione più banale (il tragitto casa-lavoro all’ora di punta), come uno dei leitmotiv dell’esposizione. Il tema del viaggio e della scoperta, difatti, torna in «Brendan’s Isle» (2010), forse il lavoro più immaginifico di tutta la mostra: un’opera audio, che il visitatore è invitato ad ascoltare in semioscurità, con lo sguardo rivolto al fiume IJ. Qui, l’artista stessa racconta la storia di San Brandano il Navigatore, abate irlandese del VI secolo che salpò in mare alla ricerca di isole paradisiache. La dolce voce di Tan ci culla in un’affascinante rêverie in cui i confini tra storia, mitologia e tradizione orale si sfaldano come soffici scogliere calcaree.

Il tema del peregrinare torna nei due lavori più recenti in mostra, «Gray Glass» (2020) e «Footsteps» (2022). Se il primo, una suggestiva videoinstallazione a tre canali, segue le orme di un uomo in viaggio tra le Alpi con uno specchio sulle spalle, il secondo (una nuova produzione) prende la forma di un viaggio nella storia del cinema. Qui, Tan traccia la propria cartografia filmica, allo stesso tempo personale e collettiva, immergendosi nell’archivio del museo: a un montaggio di filmati muti tratti dalla collezione dell’Eye Museum (perlopiù scene di vita quotidiana nell’Olanda di inizio Novecento) l’artista accompagna una voce fuoricampo che recita alcune vecchie lettere che il padre le scrisse a fine anni Ottanta, poco dopo il suo trasferimento ad Amsterdam.

Allo Stedelijk Museum, la quiete contemplativa dell’arte di Fiona Tan lascia il posto a sensazioni di natura opposta: disagio, inquietudine e disorientamento, lemmi ricorrenti nel vocabolario emozionale di Anne Imhof. La celebre artista tedesca (Leone d’Oro alla Biennale del 2017) occupa l’intero piano interrato del museo con una nuova, potente installazione. Originariamente immaginata per il Garage Museum di Mosca (che, a seguito del conflitto con l’Ucraina, ha cancellato l’intera programmazione espositiva), «Youth» (fino al 29 gennaio) si compone di un grande ambiente labirintico, in cui armadietti per spogliatoi, torri di pneumatici, colonne di taniche d’acqua, enormi trampolini di metallo e minacciose pareti angolari visualizzano il paesaggio distopico di un’allucinazione. Una luce rosso-sangue tinge l’ambiente principale dell’installazione, mentre un sistema di casse sospese, in movimento su un binario fissato al soffitto, emettono le note di un’opprimente colonna sonora.

La mostra segna un passaggio radicale nella pratica di Imhof: questa terra desolata è priva dei performer che generalmente popolano gli ambienti dell’artista. Ma l’assenza non fa altro che accrescere la tensione e il senso di minaccia, nonché l’aspettativa del visitatore. Percorrere lo spazio di «Youth» è come abitare la scenografia vuota di un incubo ricorrente: non ci è dato vedere la nostra nemesi, ma possiamo sentirne i passi in lontananza.

L’unica presenza umana è quella di Eliza Douglas, partner e musa dell’artista. È la protagonista di una serie di video, tra cui «Al Winter» (2022), girato a Mosca poco prima dello scoppio della guerra. Qui la vediamo percorrere le rovine di un edificio innevato: tra le mura derelitte e coperte di graffiti, Douglas cammina a petto nudo, incapace di trovare una via d’uscita. È la versione androgina di Lara Croft, intrappolata nel loop di un videogioco programmato male. Ma anche noi visitatori, nel percorrere il paesaggio desolato della mostra, fatichiamo a trovare la strada, a passare al livello successivo, oppressi da un’architettura che pare essersi materializzata dallo schermo di un computer. Avatar digitali di Eliza (angeli muti e silenziosi) ci appaiono lungo il percorso, come per indicarci il cammino. Dopotutto, c’è sempre una via d’uscita dai nostri sogni peggiori.

«Mountains and Molehills» (2022), di Fiona Tan, Amsterdam Eye Filmmuseum. Foto: Studio Hans Wilschut

Federico Florian, 17 ottobre 2022 | © Riproduzione riservata

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