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La consulente Livia Alberti e il tecnico Mondher Habachi impegnati nel restauro del mosaico nella Casa della Caccia, a Bulla Regia in Tunisia (2011). © Scott S. Warren - J. Paul Getty Trust

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La consulente Livia Alberti e il tecnico Mondher Habachi impegnati nel restauro del mosaico nella Casa della Caccia, a Bulla Regia in Tunisia (2011). © Scott S. Warren - J. Paul Getty Trust

I salvatori di mosaici

Il progetto Mosaikon ha permesso la formazione di oltre 200 esperti tra tecnici del restauro e manager di siti archeologici

Nancy Kenney

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Da quando ha preso il via nel 2008, il progetto Mosaikon lanciato dalla Getty Foundation e dal Getty Conservation Institute (Gci) con l’International Committee for the Conservation of Mosaics (Iccm) e l’International Centre for the Study of the Preservation and Restoration of Cultural Property (Iccrom), è quasi giunto al termine (si concluderà nel 2020). L’iniziativa, dal costo di 13 milioni di dollari, riguarda la conservazione dei mosaici antichi a rischio scomparsa in Nord Africa e Medio Oriente in conseguenza di saccheggi, instabilità politica, mancanza di fondi e limitate competenze nell’ambito del restauro.

In 11 anni il programma ha così formato una nuova generazione di tecnici che porterà avanti gli interventi di restauro, garantendo le migliori tecniche di conservazione dei mosaici e di gestione dei siti archeologici. In Algeria e Libano sono stati aperti laboratori per il restauro, tradotti manuali tecnici dall’inglese in francese e arabo e i tecnici hanno formato un network online per collaborare alla risoluzione dei problemi.

Il progetto, in origine, riguardava i siti della Tunisia, tra cui anche Bulla Regia, una ricca città di epoca romana i cui 400 bei mosaici risultavano danneggiati da intemperie, vegetazione e turismo. I frutti di questo sforzo hanno poi spronato il Getty a proporre una missione regionale di portata più ampia, affidando al Gci la formazione di conservatori e manager dei siti per i mosaici nel loro sito di origine, alla Fondazione invece quella dei restauratori dei mosaici staccati e trasferiti nei musei.

Nella maggior parte dei casi, i tirocinanti sono impiegati governativi, reclutati con il presupposto di un ritorno futuro e con la prospettiva di restare in carica il tempo sufficiente per poter trasmettere le competenze acquisiteai loro colleghi. Le moderne indicazioni sul restauro stabiliscono che i mosaici debbano restare nei siti del ritrovamento per essere contestualizzati, ma molti sono stati ricollocati in musei e necessitano di trattamenti urgenti, spiega Roberto Nardi, presidente dell’Iccm, che ha supervisionato la formazione dei tecnici.

Basta cemento
Uno dei problemi più grandi che i restauratori devono affrontare è l’ampio uso di cemento armato di bassa qualità come supporto per i mosaici, una tecnica diffusasi dopo la seconda guerra mondiale e predominante fino agli anni ’80. Il ferro all’interno del cemento si corrode e si dilata, affiorando in superficie e compromettendo la trama delle tessere.

«È stato un grosso errore usare questa tecnica», riconosce Nardi. Thomas Roby, senior project specialist per il Gci, ha spiegato che una recente strategia di conservazione è quella di rimuovere scrupolosamente il cemento armato e quindi stendere il mosaico su un nuovo supporto di malta di calce, come facevano i Romani. L’introduzione ai vari tipi di malta di calce infatti, è una parte fondamentale della formazione dei tecnici.

Che imparano anche come iniettare calce liquida sotto lo strato di tessere per farlo aderire nuovamente al supporto di malta sottostante. Come sostegno per i mosaici si usa un prodotto leggero ma robusto come i pannelli di alluminio a nido d’ape, spiega Jeanne Marie Teutonico associate director del Gci, anche se talvolta in questi Paesi questo materiale non si riesce a trovare oppure è troppo caro.

Ai tirocinanti viene anche insegnato come ricoprire i mosaici minacciati dagli elementi naturali: di solito le operazioni comprendono la copertura di un mosaico stabilizzato con uno strato di sabbia e poi con uno di ciottoli in modo che la sabbia non si sposti, scoraggiando così la crescita della vegetazione. Spiega Roby: «Le aree lacunose vengono riempite con la malta, un materiale che si armonizza bene con il resto del mosaico. Non ricollochiamo le tessere a meno di non essere sicuri della loro posizione originaria».

Anche i direttori dei siti, solitamente archeologi o architetti governativi, hanno beneficiato della formazione e spesso devono lottare contro saccheggiatori, budget e personale limitati. Finora grazie a Mosaikon sono stati formati 235 esperti, tra tecnici del restauro e manager in diciassette Paesi in contatto tra loro online (alcune sessioni sono state estese anche ai Paesi dei Balcani). «Oggi abbiamo un forte pool di restauratori che possono svolgere questo lavoro, afferma Nardi. Il meccanismo non si fermerà più».

La consulente Livia Alberti e il tecnico Mondher Habachi impegnati nel restauro del mosaico nella Casa della Caccia, a Bulla Regia in Tunisia (2011). © Scott S. Warren - J. Paul Getty Trust

Nancy Kenney, 09 ottobre 2019 | © Riproduzione riservata

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