I racconti universali di Tabrizi

La mostra dell’artista iraniano da Poggiali combina motivi ed elementi del suo Paese d’origine ad altri di matrice occidentale per invogliare ad una lettura comune nuova ed espansa

«Man and Serpent» (2020) di Ardeshir Tabrizi
Monica Trigona |  | Milano

La galleria Poggiali, nella sua sede milanese del Foro Bonaparte, ospita da mercoledì 9 novembre (sino al 7 gennaio 2023) la prima personale italiana dell’artista Ardeshir Tabrizi, «Otherworlds». Il titolo sibillino pare invogliare alla scoperta di «altri» emisferi creativi che nascono da voci originali avvezze alla contaminazione tra stili, epoche e geografie.

Tabrizi, poco più che quarantenne, è nato a Teheran, in Iran, nel 1981 ma vive dall’età di quattro anni a Los Angeles, in California. La sua quotidianità non è segnata dal vivere nel suo paese d’origine ma questo non gli ha impedito di subire l’influenza delle sue radici. L’arte iranica, da sempre soggetta agli influssi delle civiltà vicine, è sfaccettata e complessa e, durante i diversi imperi che si sono succeduti nei suoi territori, si è espressa attraverso la pittura, la ricca produzione di ceramica, la calligrafia, la scultura, l’arte del libro e dell’architettura e la famosissima tradizione tessile.
«Dancers» (2022) di Ardeshir Tabrizi
Ispirato da quest’ultima, l’inedito corpus presente in galleria è realizzato con l’antica tecnica di ricamo persiana Suzandozi utilizzata per produrre pregevoli tessuti decorativi. In uno sforzo creativo che ha coinvolto l’immaginazione personale ma anche un approfondito studio della mitologia persiana e dell’Iran odierno, l’artista ha dato luce a opere dall’estetica ricca ed originale, dal continuo fiorire di forme, immagini, simboli e personaggi.

È evidente che la lettura di tali lavori debba avvenire su diversi livelli e che ognuno di essi richieda i suoi tempi perlomeno per intuirne nessi e riferimenti.
In un gioco contemplativo, di volta in volta, avvicinandosi ed allontanandosi dalle tele, si possono cogliere le rappresentazioni «nascoste» per poi connetterle tra di loro, in un’unica visione.
«Western Boys» (2021) di Ardeshir Tabrizi
Tra gli innumerevoli elementi storici, nelle composizioni spiccano anche le fotografie della famiglia di Tabrizi come ad aprire dei varchi possibili, delle strade percorribili, all’interno di una narrazione che parrebbe già inevitabilmente scritta. Il rispetto e l’accettazione del prossimo sono alla base di questa ricerca che invoglia ad un racconto comune in cui simboli differenti, anche di origine religiosa, arricchiscono un linguaggio visivo universale.

Le tecniche artigianali tradizionali, stimolando un dialogo con la storia iraniana, sono riattualizzate e proposte ad un pubblico che può «toccarne con mano» la specificità e il possibile utilizzo nell’arte contemporanea.

«Con Otherworlds, afferma l’autore, cerco di evidenziare un legame interculturale che già esiste. Il mio lavoro incorpora simboli e immagini importanti per persone provenienti da varie parti del mondo e li sovrappongo in un fotogramma. Nella mia produzione unisco simboli storici e paesaggi pieni di fili, dando a quelle icone culturali e quelle immagini sacre significati nuovi ed espansi. Attraverso la manipolazione digitale, la pittura e il ricamo, posso fare uso di questo bagaglio culturale e crearne uno nuovo. Questo atto non è affatto una dichiarazione politica, ma più che altro una documentazione di umanità e di guarigione».

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