I Bizantini al Mann in oltre 400 oggetti

Per la mostra prestiti da 57 musei e istituzioni italiani e greci. Alcuni reperti provengono dagli scavi della metropolitana di Salonicco e sono visibili per la prima volta

Missorio in argento di Flavius Ardabur Aspar (V secolo d.C.), provenienza incerta (Ravenna, Cartagine, Antiochia?), Firenze, Museo Archeologico Nazionale
Olga Scotto di Vettimo |  | Napoli

«Bisanzio è un enorme enigma», afferma Federico Marazzi, curatore della mostra «Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario», organizzata da Villaggio Globale International, realizzata con il sostegno della Regione Campania in collaborazione con l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, che fino al 13 febbraio nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann), dopo quarant’anni dall’ultima esposizione in Italia, sviluppa un importante approfondimento sull’Impero Romano d’Oriente.

«Bisanzio è la continuazione diretta dell’Impero Romano, ma ne rappresenta un’espressione per molti aspetti radicalmente modificata, aggiunge Marazzi. Non ha continuatori diretti nello scenario geopolitico di oggi, ma l’eredità della sua cultura e delle sue istituzioni è presente nel Dna di molti popoli e stati vissuti dopo di esso, sino ai nostri giorni. Sotto le ceneri della sua scomparsa, il ricordo di Bisanzio accende ancora oggi potenziali contrasti e divisioni che potrebbero sfociare in aperte situazioni di conflitto».

L’esposizione affronta, in particolare, i rapporti con l’Italia meridionale, quindi l’assoluta particolarità di Napoli, che dopo la conquista delle truppe di Belisario (536 d.C.), rimane città «bizantina» per molti secoli. «Anche per la storia della stessa Napoli Bisanzio rimane un enigma: la città partenopea ha vissuto per sei secoli sotto le insegne dell’Impero Romano d’Oriente, di cui più di tre entro una cornice di reale autonomia, eppure i luoghi e le cose che ricordano questo lungo (e glorioso) periodo sono difficilmente visibili e conosciute in città. Non è bastato che uno dei concittadini più illustri, il grande Totò, abbia trascorso una vita lottando per farsi riconoscere il titolo di “Principe di Bisanzio” perché questo nome diventasse più popolare e comprensibile presso i napoletani. Questa mostra vuole fornire elementi per capire meglio tutto questo e molto altro; entrare in un mondo quasi parallelo al nostro, eppure molto più vicino di quanto possiamo pensare», continua il curatore che ha coordinato il gruppo costituito da dieci studiosi italiani della civiltà bizantina, responsabile del progetto scientifico.

In mostra oltre 400 reperti: sculture, monete, mosaici, affreschi, vasellame, sigilli, ceramiche, smalti, suppellettili, oreficerie, elementi architettonici, espressione di eccellenze manifatturiere e artistiche (tra questi il disco in argento lavorato a bulino, di circa 2 kg, concesso dall’imperatrice Galla Placidia al generale Flavius Ardabur Aspar), con prestiti da 57 musei e istituzioni italiani e greci (33 istituti italiani, 22 musei greci, Musei Vaticani e Fabbrica di San Pietro), alcuni dei quali provenienti dagli scavi della metropolitana di Salonicco e visibili per la prima volta, nonché anche dalla metropolitana di Napoli.

Articolata in 15 sezioni, l’esposizione «racconta la trasformazione di un impero che resistette oltre mille anni dopo la caduta di Roma, conservando aspetti della classicità e mescolandoli con elementi orientali. I suoi semi, nonostante la furia distruttiva dei nuovi popoli, riattecchirono tuttavia, anche attraverso la fuga di molti sapienti in Italia a seguito della presa turca, dando di nuovo vita alla scintilla dell’Umanesimo, specialmente nella Firenze di Lorenzo il Magnifico: Bisanzio non muore mai e come una fenice rinasce dalle proprie ceneri», aggiunge Paolo Giulierini, direttore del Mann.

La ricchezza dei reperti in mostra sottolinea le connessioni tra mondo occidentale e orientale, quindi il transito di modelli culturali dal mondo antico al Medioevo mediante nuovi stilemi arricchiti dalla fede cristiana e da innesti culturali iranici e arabi, raccontando le strutture di potere, la vita quotidiana, la religiosità, le arti, la scrittura letteraria e amministrativa, ma anche, sottolinea Giulierini «l’identità del Mann» (catalogo Electa).

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