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Guardava gli animali negli occhi

Le opere animaliste di Rembrandt Bugatti

Chiara Pasetti

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Non è difficile intuire che a una persona che porta un nome come Rembrandt, e un cognome come Bugatti, la vita abbia dovuto pesare molto, parafrasando il titolo scelto da Edgardo Franzosini per il suo  testo dedicato allo scultore. Il nome di battesimo richiama inevitabilmente il grande pittore olandese e il cognome la casa automobilistica fondata da Ettore nel 1909. Ma anche Rembrandt Bugatti (1884-1916) fin dal principio della sua vita (interrotta dal suicidio a soli trentuno anni) aveva una vocazione tanto potente quanto quelle dei suoi illustri omonimi.
 
Franzosini dedica diverse pagine all’amore di Rembrandt per i suoi modelli, gli animali, che ogni giorno osserva e studia al Jardin des Plantes di Parigi: «Quando sono di fronte a loro e li fisso negli occhi mi sembra di rendermi perfettamente conto delle loro gioie e delle loro pene», scrive l’autore. Una comunione, un senso di fratellanza «che si spinge fino alla tenerezza», che lo portano a trascorrere ore allo zoo insieme agli elefanti, ai rinoceronti, alle antilopi, ai leopardi. In casa, modella i loro corpi nella plastilina e li fa fondere. Tra il 1903 e il 1904 realizza l’originale «Elefante danzante», scelto dal fratello Ettore come simbolo della Bugatti Royale.


Lo stile delle sue opere animaliste, fortemente influenzato dallo scultore russo Troubetzkoy, suscita ammirazione e stupore. Soprattutto, «ciò che distingue il talento di Monsieur Bugatti è la conoscenza esatta delle abitudini e dei comportamenti degli animali: sembra che abbia vissuto con loro, che possa comprenderne ogni movenza e ogni espressione». Man mano che la sua «vita immaginaria» prosegue, una sensazione di malessere e di rinuncia invade il protagonista e il lettore, che avverte di trovarsi insieme a lui sull’orlo della catastrofe personale e collettiva.


Le nubi della guerra incombono sull’Europa e Rembrandt si trasferisce ad Anversa nei pressi dello zoo, potendo studiare anche lì da vicino gli animali, soprattutto «un rinoceronte stupendo», e accrescendo il proprio «patrimonio di esperienze selvatiche». Nel 1914 scoppia la guerra, con la conseguente «spaventosa faccenda», tra le tante, dell’abbattimento di tutti gli animali dello zoo; queste sono le pagine più intense del libro. Rembrandt è reclutato dalla Croce Rossa per l’assistenza ai feriti e nel 1915 fa ritorno a Parigi: sembra ormai «una bestia ferita».


Malato di tubercolosi, l’8 gennaio 1916 si toglie la vita nella sua abitazione a Montparnasse. Giulio Ulisse Arata, architetto e critico d’arte, amico dello scultore, scrive: «Bugatti aveva vissuto nella vita come un estraneo, ed è morto come lo sconosciuto che cancella dietro di sé ogni traccia della sua esistenza». In un antico testo buddista indiano (citato non a caso da Flaubert e da Nietzsche) si legge: «colui che ha capito che il dolore viene dall’attaccamento si ritira come il rinoceronte in solitudine, aspettando la morte». Rembrandt Bugatti non l’ha aspettata, l’ha anticipata.  


Questa vita tuttavia mi pesa molto
di Edgardo Franzosini
117 pp., ill.
Adelphi, Milano 2016
€ 12,00

Chiara Pasetti, 04 giugno 2017 | © Riproduzione riservata

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