Gli idilli italici di Louis Gauffier

Al Musée Fabre di Montpellier la prima retrospettiva del pittore francese attivo in Italia riscopre il valore di un artista sottovalutato

«Cleopatra e Ottavio» (1788) di Louis Gauffier. Cortesia di National Galleries of Scotland
Wrandille Potez |  | Montpellier

Madame, è bello poter morire a Roma!»: così Louis Gauffier (1762-1801) sfida un’ammiratrice inquieta per le condizioni di salute del giovane vincitore del Grand Prix de Rome alla vigilia della partenza per la città eterna. Ignorava che queste sue parole sarebbero risuonate come oracolo della sua dipartita qualche anno più tardi.

Gauffier non ritornerà dall’Italia dove, trasferitosi prima come «pensionnaire», fu costretto a rimanere come rifugiato dalla Rivoluzione. L’esilio sotto il sole transalpino a servizio di una clientela straniera spiega la relativa indifferenza riservatagli dalla Francia, che lo riscopre ora, a quasi un secolo dallo sguardo acuto di Paul Marmottan.

Sensibilità estrema e virtuosismo
Il Musée Fabre è la sede ideale per questa prima retrospettiva (in collaborazione al Musée Sainte-Croix di Poitiers dove la mostra si terrà dal 14 ottobre al 12 febbraio 2023) in quanto fondatore François Xavier Fabre donò a Montpellier una grande quantità di opere dell’artista di cui era amico intimo. Alcuni di questi dipinti non erano mai stati esposti prima d’ora e attendevano solo un leggero restauro per rivelare la loro straordinaria qualità in particolare nella resa dal vero su fondi neutri di dettagli naturalistici quali la tessitura di una corteccia o l’ombra della chioma d’albero.

Questa attenzione alla natura, propria dei primi Romantici, affranca l’artista dal Neoclassicismo severo di Jacques-Louis David. Predisposto a soggetti idilliaci, Gauffier svela un altro lato del Neoclassicismo, sereno e luminoso. Il mistero delle sue tele risiede nella tensione poetica tra la dolcezza dei paesaggi e la purezza delle figure che li popolano.

Non c’è nessun segno che non sia attenuato dal sentimento. I primi dipinti di storia creati a Roma testimoniano di un equilibrio sottile che seduce subito i contemporanei, più inclini ad attingere a Nicolas Poussin che a Eustache Le Sueur o Laurent de La Hyre. Nemmeno un antagonista come Jean-German Drouais potrà trattenersi dall’ammirare questi idilli : «Il paesaggio è reso come un angelo».

In ogni composizione traspare quella «conversione dello sguardo» di cui è vittima il pittore alla scoperta di rovine antiche e gallerie antiquarie. Gauffier disegna instancabilmente i monumenti che vede: i suoi taccuini contengono più schizzi di marmi del Vaticano che di visitatori.

I suoi drappeggi son presi in prestito dai rilievi del Museo Pio Clementino o al Campidoglio. Il suo linguaggio estetico si trasforma in gioco erudito che soddisfa i committenti più raffinati, compiaciuti di riconoscere in Artemide Efesia, Osiris-Antinoo, Antonio e Cleopatra i pezzi blasonati delle collezioni pontificie.

Tra i collezionisti più avidi di novità, Thomas Hope sarà sostenitore pervicace. Un viaggiatore infaticabile, il cui ritratto prestato dal Cricket Club Museum di Londra ci permette di apprezzare il fascino senza affettazione del mecenate non ancora ventenne quando giunge a Roma nel 1790. Commissionerà a Gauffier ben sei quadri, tra i quali il capolavoro, terminato nel 1792, «Il riposo della Sacra Famiglia in Egitto».

Nell’opera che Hope al suo ritorno in Inghilterra appese nella stravagante stanza egizia della sua dimora in Duchess Street davanti all’«Achille riconosciuto da Ulisse» dello stesso Gauffier, la scena biblica è completamente rinnovata. I colori più tenui, la vegetazione lussureggiante e l’architettura esotica sotto la quale sosta la famiglia in fuga paiono anticipare la moda orientalista ottocentesca.
«Étude d’arbre» (1796) di Louis Gauffier. Cortesia del Musée Fabre
Un’opera radiosa
L’arte di Louis Gauffier, mai fredda e distaccata, viene presentata a Montpellier sotto una nuova luce. La sua ricerca ossessiva della perfezione, che si tratti di un pezzo di stoffa o di un geroglifico, non intacca mai la libertà serena e l’indipendenza dell’artista i cui i ritratti sono l’esempio più significativo.

Cacciati i Francesi da Roma nel 1793, il pittore si rifugia a Firenze dove si misura con la formula del «portrait-souvenir». Non tarda a eccellere anche in questo genere ispirandosi ai colleghi tedeschi, inglesi e svizzeri che godevano dell’equilibrio politico del Granducato di Toscana.

Perfettamente introdotto nell’ambiente, Louis Gauffier coglie lo spirito dei «globe-trotters» del Grand Tour, siano essi pittori, principi, ufficiali o diplomatici. Il più seducente, vestito di rosa e bianco, sembra essere in posa apposta per il manifesto della mostra di Montpellier. Summa dell’arte riscoperta di Gauffier, questo ritratto entra tra le icone della storia dell’arte europea.

Traduzione di Mariaelena Floriani

© Riproduzione riservata