«Senza Titolo» (1971) di Rosemary Mayer. Foto Courtesy Lenbachhaus

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«Senza Titolo» (1971) di Rosemary Mayer. Foto Courtesy Lenbachhaus

Gli «effimeri monumenti temporanei» di Rosemary Mayer

Alla Lenbachhaus le sue opere della maturità come oggetti artistici mai rigidi, immobili o distaccati dalle circostanze

Rosemary Mayer (1943-2014), artista, autrice e traduttrice newyorkese, era una vera intellettuale: oltre agli studi d’arte infatti parlava il greco antico e il latino tanto che si dice avesse rifiutato ancora giovanissima, per dedicarsi alla carriera artistica, un’offerta della Harvard University per una borsa di studio e un dottorato al dipartimento di studi classici del prestigioso ateneo.

Strettamente legata al movimento delle artiste femministe americane oltre che all’ambiente dell’arte concettuale statunitense anni ‘70, fu fondatrice e membro della Galleria A.I.R, la prima cooperativa tutta al femminile negli anni delle battaglie per la parità di genere. La sua vera passione, parallela agli studi storici sui pittori manieristi come Rosso Fiorentino e Jacopo Pontormo (del secondo tradusse anche i diari poi pubblicati in tutto il mondo con suoi commenti e chiose), fu la scultura che le offriva possibilità illimitate.

Dall’11 giugno al 18 settembre Lenbachhaus le dedica la mostra «Rosemary Mayer: Modi di attaccare». Le opere mature di Mayer, una perfetta fusione tra il freddo distacco del Minimalismo e la pittura manierista, tra l’architettura barocca e rococò, e i testi di autori mistici medievali e poeti contemporanei, sono fatte di tessuti delicati che sembrano sfidare le leggi di gravità, «effimeri monumenti temporanei», come lei stessa li chiamava, perché «l’oggetto artistico non dovrebbe essere rigido, immobile e distaccato dalle circostanze. Niente lo è».

«Senza Titolo» (1971) di Rosemary Mayer. Foto Courtesy Lenbachhaus

Francesca Petretto, 10 giugno 2022 | © Riproduzione riservata

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Gli «effimeri monumenti temporanei» di Rosemary Mayer | Francesca Petretto

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