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Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoliAl Museo Internazionale della Ceramica a Weiden, il Museo d’arte egizia di Monaco presenta, fino al 10 aprile, la mostra «Dalla bottega del Faraone. Artigianato e materiali nell’Antico Egitto», che con 150 oggetti dall’età Protodinastica ai Tolomei focalizza i materiali poveri, semipreziosi e preziosi che furono strumento espressivo delle manifatture egizie
Dal legno (con le essenze privilegiate per la costruzione dei sarcofagi), papiro e lino, l’attenzione passa ai materiali lapidei: dalle pietre più comuni (calcare, arenaria, granito, ardesia) ai più rari alabastro, basalto, serpentinite, diorite, quarzite fino alle semipreziose lapislazzulo e diaspro.
Si continua con il vetro, che gli Egizi chiamavano «pietra fusa» e di cui avevano appreso il processo produttivo dai contatti con l’Asia Minore: nella produzione di circa un millennio e mezzo spicca, bordato d’oro, il più grande «alabastron» conosciuto (vaso per unguenti originariamente in alabastro, da cui il nome).
Quanto al più povero dei materiali, l’argilla, risalgono al IV millennio a.C. i vasi predinastici Naqada (in argilla annerita dalla particolare cottura), il vaso antropomorfo raffigurante il dio Bes e il preistorico modello di barca a forma di coccodrillo.
Grande rilievo ha la faïence egizia, la ceramica invetriata turchese, con le piastrelle di rivestimento della Sala del Trono del Palazzo di Ramses II nel Delta Orientale e vasi a forma di fiore di loto e di conchiglia.
Esempi da quattro millenni dimostrano il costante uso dell’avorio nonché dell’oro e del rame (provenienti dai giacimenti nubiani) con armi e attrezzi, statuette di divinità e rosoni in oro da una tomba reale del Nuovo Regno, e del rarissimo argento, riservato ai gioielli e ornamenti più importanti, soprattutto per le regine.
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