Giovanni Carbonara missionario del restauro

La sua esperienza di studioso di architettura gli conferiva la rara capacità di coniugare la storia e la conservazione

Giovanni Carbonara
Fabio Mangone |

Non vi è dubbio che con la scomparsa di Giovanni Carbonara (Roma, 27 novembre 1942-Roma, 1 febbraio 2023), architetto, docente e studioso, viene a mancare una delle figure più influenti nel campo del restauro. Se certamente la sua fama e la sua autorevolezza sono andate consolidandosi nel tempo, anche sulla base di una sua produzione saggistica che conta oltre 700 scritti, va notato che già negli anni Settanta aveva pubblicato due autentici seminal book.

La reintegrazione della immagine (Roma, 1976) entrava nel vivo di un acceso dibattito metodologico e già mostrava la capacità di assicurare alla teoria del restauro un’assoluta ponderatezza del logos, opposta a ogni radicalizzazione in nome della ideologia. Iussu Desiderii. Montecassino e l’architettura campano-abruzzese nell’XI secolo (Roma, 1979), che anche al di là del riuscitissimo titolo ha rappresentato eccellente punto fermo negli studi di storia dell’arte medievale e nell’architettura degli ordini.

Da questa esperienza, anche dopo che nella sua attività di insegnamento e nella sua produzione scientifica la storia dell’architettura non occupava più il posto predominante, era rimasta una straordinaria e rara sensibilità per i nodi della storia, dedotta sia dai monumenti sia dalle fonti indirette, portatori non solo di erudizione, ma anche di valori e significati da integrare pienamente nel progetto di conservazione.

Un prima traccia per ricordarne la figura, e delineare la posizione ricoperta a livello nazionale e internazionale, può essere data dal nutritissimo e prestigioso elenco di incarichi, di nomine, di premi (tra cui nel 2008 la Medaglia d’Oro di Benemerito della Cultura e dell’Arte della Repubblica Italiana). Paradossalmente, qualsiasi elenco (pur difficile da compilare per l’ampiezza eccezionale di incarichi e di nomine) sarebbe per difetto: perché anche al di là dei tanti ruoli ufficiali, il prezioso e spesso determinante parere di Giovanni Carbonara è stato mille volte richiesto da ministri, soprintendenti, musei, enti pubblici e privati, imprese, colleghi architetti e colleghi docenti, e mille volte con generosità dispensato.

D’altronde, come egli stesso rimarcò già nel titolo di un suo noto articolo del 2010, il restauro va inteso come una «missione» piuttosto che una «professione». Posizione che, per fortuna, lo ha reso indifferente, e lo ha tenuto lontano dai tanti recenti tentativi di «sindacalizzare» le discipline accademiche, teorizzando netti recinti dei saperi.

Una straordinaria sua qualità ha sempre colpito chi ha avuto l’opportunità e direi la fortuna di lavorare con lui, di confrontarsi con lui, di dialogare con lui a proposito di una questione teorica, della salvaguardia di un paesaggio, del restauro di un monumento (come è accaduto allo scrivente nelle tante importanti occasioni create a Napoli da Francesca Brancaccio e da B5, ad esempio a proposito della copertura dell’Insula dei Casti Amanti di Pompei): la capacità di ascolto.

Di ascolto del contesto urbano, del paesaggio, del monumento, con la consumata esperienza dell’esperto clinico, che prima ancora di ricorrere all’ausilio della più aggiornata tecnologia diagnostica sa con l’occhio e con la mano giungere al fulcro della diagnosi, e delineare la terapia; ma anche di ascolto delle persone, dei committenti, delle imprese, degli utenti, dei tecnici di differente specializzazione, dei colleghi, degli operatori materiali, con umiltà, senza mai assumere posizioni di chiusura, sinceramente convinto che proprio dalla molteplicità delle posizioni si poteva giungere a una sintesi più valida, più giusta, più concreta.

Questa attitudine dialettica ne segnava l’equilibrio nelle posizioni metodologiche: lontano dalla radicalizzazione di quelle che in un saggio del 1995 aveva definito «posizioni conflittuali nella teoria del restauro», assertore del valore della «bellezza» a suo parere da far assurgere «tra i canoni del restauro», anche quando il termine e il concetto sembravano esser stati messi definitivamente da parte, attento alle sfide della sostenibilità, tanto da parlare di «efficienza energetica come strumento di tutela» (2014), Carbonara ha avuto il raro merito di non considerare le più accreditate posizioni teoriche come dogmi incontrovertibili da applicare in ogni intervento con assoluta rigidezza, quanto invece come di punti di riferimento che dovevano sì guidare l’azione del progettista, ma confrontarsi anche con le specificità del caso, con i valori materiali e immateriali, estetici e storici le cui gerarchie potevano esser valutate solo tramite un’acuta disamina critica seguita a un’indagine approfondita.

In questo approccio si situa forse il più fecondo insegnamento impartito non solo agli allievi diretti dell’importante Scuola di Architettura tenuta nella amata Roma, dalla quale, pur rivestendo incarichi a livello nazionale e internazionale, non amava allontanarsi per troppo tempo, ma anche ai migliori restauratori, professionisti e docenti, di tutta Italia.

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