Giorgio Morandi visto da Luigi Magnani

Alla Estorick Collection 50 «variazioni sul tema» collezionate dall’amico musicologo, compositore e scrittore, che capì «a quale rigorosa esigenza ritmica e formale obbedisse la sua pittura»

«Natura morta» (1936), di Giorgio Morandi
Sandra Romito |  | Londra

In occasione del suo venticinquesimo anniversario, la Estorick Collection di Londra espone l’intera collezione di opere di Giorgio Morandi della Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo. Luigi Magnani, coltissimo musicologo e critico d’arte, come pure generoso collezionista, fu legato all’artista da un’amicizia profonda, densa di stima e cordialità. Cinquanta opere seguono tutte le tecniche e i soggetti di Morandi: oli, acquerelli, disegni, incisioni; nature morte, paesaggi e un raro ritratto.

Alla mostra sono dedicate le due sale al piano terra dell’Estorick di Islington e il percorso si completa al primo piano con le opere su carta di Morandi della collezione londinese. Magnani ha amato Morandi forse solo come Cézanne: in pittura non lo interessava il significato della rappresentazione ma la forma e il volume. Cézanne è in realtà il punto di riferimento di entrambi, e da Morandi non viene mai dimenticato.

Si guardi la «Natura morta con frutta» del 1927, per esempio, atipica rispetto a quanto si associa al pittore, sia per soggetto sia per l’uso denso del colore, esso stesso genera i volumi: non esisterebbe senza Cézanne ma ricorda anche Chardin (Morandi è un pittore colto e intenso, che guarda al passato senza plagiarlo). Un altro dipinto inaspettato è la «Natura morta (Strumenti musicali)» del 1941: Magnani e Morandi si sono da poco conosciuti, e il musicologo, in visita allo studio bolognese del pittore, gli chiede di dipingere dei preziosi strumenti, prestatigli da un amico.

Troppo imbarazzato per rifiutare, Morandi crea una composizione utilizzando strumenti trovati al mercato delle pulci, e il risultato contiene certamente la tensione e la fatica di dipingere oggetti che conosceva meno intimamente, così come traspare anche il disagio di dipingere su commissione, pratica a lui aliena. A proposito di temi e motivi che si ripetono nell’opera del bolognese, Magnani nel suo libro Il mio Morandi ricorda come il pittore gli disse: «Vede, se avessi una seconda vita non potrei esaurire lo svolgimento di questo tema» e come lui stesso finalmente comprese «allora a quale rigorosa esigenza ritmica e formale obbedisse la sua pittura e giustificasse ogni minima variazione sul tema».

Cosa di più vicino al grande musicologo e compositore della coerenza di Morandi: come nella musica, anche nella sua pittura c’è un motivo che crea variazioni ma rimane fondamentale. Si susseguono quindi meravigliose nature morte più in linea con quanto si conosce dell’artista, prima tra tutte forse quella con la bottiglia bianca, le ciotole e il giochino, scelta giustamente a manifesto della mostra stessa, anche nella copertina del catalogo. Del 1936, Morandi la regala per Pasqua a Magnani nel 1941, poco dopo aver dipinto gli strumenti musicali, quasi per fargli capire dove stesse andando la sua arte e che cosa dovesse aspettarsi da lui: simbolo vero della loro amicizia.

Intimissimo anche il «Cortile di via Fondazza», paesaggio dipinto dalla finestra dello studio «cum camera» da letto, luogo monacale del pittore, del 1954: si è sicuri che le famose bottiglie sono appoggiate su un tavolo poco distante. Non mancano altre eccezionalità nella collezione parmense, testimonianza di come Magnani sia riuscito a raccogliere tutta l’opera di Morandi: un rarissimo autoritratto, del 1925, acquistato da un altro grande collezionista, Gianni Mattioli; la «Natura morta metafisica» del 1918, dove il manichino di de Chirico e Carrà diventa pura forma; i mazzi di fiori, che dipingeva per donarli alle persone a lui più care.

La seconda sala della mostra raccoglie le opere su carta. Morandi era professore di incisione all’Accademia di Belle Arti di Bologna dal 1930 e la sua tecnica impeccabile si basa certamente sullo studio profondo delle incisioni degli antichi maestri. I soggetti sono ancora una volta svuotati del loro significato, divenendo spazi e volumi, come fa in pittura: le due tecniche sono usate per la medesima ricerca artistica, solo che nell’incisione si sente l’anticipazione del colore «assente ma immanente come suoni e timbri lo sono nelle silenti pagine di una partitura musicale».

Accanto a queste, la poesia assoluta degli acquerelli, pura forma, quasi astratti, e l’essenzialità dei disegni, dove la linea è alla ricerca delle qualità intrinseche, fondamentali degli oggetti. Solo così le cose si liberano dalla miseria quotidiana, diventando infinite e universali, dando la vertigine e lo smarrimento cosmico che descrive Pascal, tanto amato dal pittore. La mostra ben vale un’avventura a Islington, fuori dalle normali mete londinesi, ancor più sapendo che ai piani superiori dell’edificio Boccioni, Medardo Rosso, Carrà, come pure Campigli e Manzù animano le stanze e dialogano con il loro compatriota.

Il catalogo preparato per questa occasione contiene due brevi saggi di Stefano Roffi e Alice Ensabella e illustra tutte le opere, con grazia e poche descrizioni, solo dove necessario. Anche questo è un omaggio a Morandi che, come diceva Magnani, non metteva mai «niente di troppo: il motto della saggezza antica fu anche quello della sua arte. Quest’arte della misura, spontanea in Morandi per essergli innata...».

«Giorgio Morandi: capolavori dalla Fondazione Magnani Rocca», Londra, Estorick Collection of Modern Art, 6 gennaio-28 maggio 2023

L’autrice è Senior Consultant di Christie’s, Old Master Pictures Department, Londra

© Riproduzione riservata Giorgio Morandi e Luigi Magnani fotografati da Ugo Mulas
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