Gio Ponti remix al Denver Art Museum

Un nuovo Centro di accoglienza accanto alla sede ideata dal maestro italiano e il riallestimento delle opere

Il nuovo ampliamento del Denver Art Museum. Foto Eric Stephenson, Denver Art Museum
Hilarie M. Sheets |  | Denver

L’espansione da 150 milioni di dollari e l’unificazione del campus del Denver Art Museum, condotta da Machado Silvetti e Fentress Architects, si svela il 24 ottobre dopo quattro anni di ristrutturazione complessiva dello storico edificio progettato da Gio Ponti per ospitare l’istituzione con la sua enciclopedica collezione.

In occasione del suo 50mo anniversario, l’edificio realizzato dal maestro dell’architettura e del design italiano su sette piani (il primo museo pluripiano degli Stati Uniti) viene collegato a un nuovo centro di accoglienza di forma ellittica (affaciato sulla nuova piazza e il parcheggio), che sostituisce un padiglione degli anni ’50 e che si collega a sua volta all’ampliamento del 2006 progettato da Daniel Libeskind.

«Il nuovo centro di accoglienza sono delle braccia spalancate alla comunità», afferma Christoph Heinrich,storico dell’arte di origine tedesca arrivato dall’Hamburger Kunsthalle a Denver nel 2007 come curatore di arte moderna e contemporanea, per poi assumerne la direzione nel 2010. Da allora, una serie di interventi «con effetto domino» a partire dalla terrazza panoramica, allora inutilizzata, dell’edificio di Ponti («la migliore proprietà immobiliare della città», ricorda).

Tutti i sistemi dell’edificio dovevano essere aggiornati, inclusa l’aggiunta di un nuovo vano ascensore per accogliere le folle crescenti in una delle città in più rapida crescita del Paese (la frequentazione del museo è più che raddoppiata nell’ultimo decennio, arrivando a circa 900mila visitatori all’anno). I lavori interessano anche le gallerie della collezione permanente, che non erano state più toccate da 25 anni. Negli ampi fondi di arte asiatica reinstallati al quinto piano, ad esempio, gli abiti tradizionali giapponesi sono giustapposti alla moda contemporanea di Issey Miyake e Yohji Yamamoto.

La presentazione al terzo piano dell’importante collezione di arti indigene del Nord America mette in primo piano le voci contemporanee e le loro connessioni con le tradizioni nel tempo. La collezione di arte occidentale americana, in forte crescita e sostenuta dai mecenati locali, è ora consolidata nelle gallerie ampliate al settimo piano, con due nuove terrazze pubbliche collegate da un bar.

Nello spazio superiore, la collezione di architettura e design, forte di oggetti del XX secolo, riceve un importante aggiornamento e include una mostra inaugurale sull’impatto del design di Ponti. La galleria inferiore è dedicata alle mostre speciali tratte dalla collezione, a partire da «ReVisión: Art in the Americas»: «uno spettacolo in cui, per la prima volta, colleghiamo la nostre collezione precolombiana con quella coloniale spagnola e latinoamericana moderna, per disegnare un’immagine più olistica dell’arte latinoamericana», spiega Heinrich.

Il museo ha guadagnato più di 3mila metri quadrati in tutto il suo campus, compreso un grande spazio che può ospitare eventi con più di mille persone, al secondo piano del Centro di accoglienza. Il nuovo Centro ospita anche un ristorante e una caffetteria al piano terra e un nuovo centro di conservazione al livello inferiore. Il centro educativo, prima nascosto nel seminterrato, è ora al primo piano dell’edificio di Ponti.

«Se mi avessi detto che sarei stato impegnato in una campagna da 175 milioni di dollari, non sono sicuro che avrei mai accettato questo incarico», afferma Heinrich, che ha raccolto l’intero importo, compresi 25 milioni di dollari per il fondo di dotazione (il budget operativo annuale del museo è passato da circa 17 milioni di dollari a 35 milioni durante il suo mandato).

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Hilarie M. Sheets