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«Rational Beings» (1995) di Tony Cragg. Foto Paolo Pellion di Persano

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«Rational Beings» (1995) di Tony Cragg. Foto Paolo Pellion di Persano

Gemma de Angelis Testa con Venezia nel destino

Il dono di 105 opere della collezione costruita insieme al marito Armando Testa fanno di Ca’ Pesaro un riferimento avanzato per gli appassionati di contemporaneo

Enrico Tantucci

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Venezia nel destino. In questa città Gemma De Angelis Testa ha conosciuto oltre cinquant’anni fa quello che sarebbe diventato poi suo marito, Armando Testa, il principe dei «creativi» pubblicitari italiani e artista egli stesso, partecipando come modella al Festival della Pubblicità. E qui, con lui, ha visitato la Biennale Arte del 1970 che ha fatto nascere in lei l’amore per l’arte contemporanea. Spingendola, soprattutto negli anni Novanta, a diventare una delle più importanti collezioniste italiane. È tutto raccontato nel libro autobiografico Con l’arte in... Testa (edito da Allemandi).

E a Venezia, alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, ha deciso di donare ora buona parte della sua collezione. Cominciando da Cy Twombly, «The Vengeance of Achilles», che è la prima opera da lei acquistata e inclusa nella donazione di 105 opere d’arte contemporanea tra dipinti, sculture, fotografie e stampe, per un valore di oltre 17 milioni e 300 mila euro. Si va da Rauschenberg all’Arte povera con Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Pier Paolo Calzolari e Gilberto Zorio. Dalla Transavanguardia di Clemente e Cucchi a opere di De Dominicis e Schifano, accanto alle sculture di Tony Cragg ed Ettore Spalletti. Ma sono rappresentati anche molti altri grandi nomi dell’arte contemporanea come Anselm Kiefer, Marina Abramovic, Mariko Mori, Shirin Neshat, Candida Hofer. E ancora i nudi di Marlene Dumas, le tele di David Salle e Julian Schnabel, i lavori di Anish Kapoor, Thomas Ruff e Thomas Struth. Fino a spingersi, tra le altre, alle opere di Ai Weiwei, William Kentridge, Chris Ofili, Chen Zhen, Bill, Viola, Piotr Uklanski.

Ca’ Pesaro pone rimedio a uno dei suoi talloni d’Achille, l’arte contemporanea. E completa il lavoro condotto dalla direttrice uscente della Fondazione Musei Civici Gabriella Belli, ancora non sostituita, che ha operato in particolare proprio per colmare questa lacuna con le donazioni Panza di Biumo per il minimal statunitense e Prast con opere di artisti delle avanguardie europee come Klee, Kandinskij, Beckmann e Schiele tra gli altri. Senza dimenticare il deposito a lungo termine di 120 opere della Collezione Sonnabend, con i protagonisti della Pop art ma anche dell’Arte povera.
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Gemma De Angelis Testa, perché ha scelto Ca’ Pesaro?
Venezia è una città che amo profondamente e che mi ha regalato i due incontri più importanti della mia vita: quello con l’arte contemporanea e quello con mio marito Armando Testa. È stato Armando, nell’istante in cui siamo stati presentati, ad avermi invitata a visitare la 33ma edizione della Biennale d’Arte nel 1970. Nonostante le iniziali divergenze in merito alle varie correnti artistiche, ci siamo subito conquistati. Oltre al particolare valore affettivo che nutro per Venezia, credo che questa città stia acquisendo sempre più rilievo internazionale nell’ambito dell’arte contemporanea grazie ai suoi musei. Per questo motivo non è stato affatto difficile sceglierla. La direttrice Gabriella Belli ha accolto con entusiasmo la mia proposta e ha individuato in Ca’ Pesaro il luogo adatto per ospitare la mia collezione. Adesso posso affermare che questa donazione ha generato molto entusiasmo e coloro che sono stati coinvolti nel progetto si sono dati molto da fare contribuendo alla sua riuscita. Dallo staff dei Musei Civici al Comune di Venezia, dall’avvocato Andrea Pizzi, che mi ha generosamente assistito, all’attuale responsabile di Ca’ Pesaro, Elisabetta Barisoni, tutti hanno svolto un lavoro meticoloso, affinché la donazione potesse avvenire con successo.

Che cosa prevede l’accordo?
Ho donato la mia collezione al Comune, che a sua volta si affida alla Fondazione Musei Civici di Venezia (Muve) per esporla. Verrà presentata al pubblico il prossimo 21 aprile. Le opere saranno esposte a cadenza quadriennale presso il museo di Ca’ Pesaro, ferma restando l’esposizione permanente di una selezione della collezione in almeno due sale espositive.

Quando nasce il suo interesse per l’arte e in particolare per quella contemporanea?
Sono stata sedotta dall’arte sin da bambina poiché ho avuto la fortuna di essere circondata da libri d’arte lasciati da mio nonno. Li sfogliavo con un certo timore, insieme alla Divina Commedia illustrata da Gustave Doré che ho tuttora con me. Da adolescente poi mi sono avvicinata a Van Gogh, Morandi e Modigliani, affascinata dalle loro vite e dalla loro arte. La scoperta dell’arte contemporanea è avvenuta con la frequentazione di mio marito Armando Testa, convinto che i confini tra arte e pubblicità fossero molto labili. Armando amava l’arte, ma aveva bisogno intorno a sé di pareti vuote, pagine bianche su cui creare e sviluppare le sue idee e gli dava fastidio accumulare. Aveva comunque una sua rubrica dedicata al contemporaneo ne «Il Giornale dell’Arte»: «Dalla parte di chi guarda». Quindi la collezione vera e propria è un progetto personale che ho iniziato a partire dal 1993, quando ho intensificato i miei rapporti con il Museo di arte contemporanea del Castello di Rivoli. In questo periodo la collezione permanente del museo era agli albori e mi sono adoperata per arricchirla, acquistando personalmente un nucleo di opere da dare in comodato. Questo primo gesto sociale e culturale a favore del pubblico è stato fondamentale e ha continuato ad alimentare la mia attività di collezionista. Quello che ho fatto per il Museo di Rivoli è stato l’esordio di un’avventura intellettuale molto eccitante e con l’attuale donazione questa esperienza continua. Ho collezionato da circa trent’anni opere di diverse generazioni di artisti.
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C’è un filo conduttore?
Apparentemente non sembra esserci una logica, se non la rilevanza di ciascun artista. In realtà mi sono dedicata all’osservazione dei linguaggi e delle ricerche artistiche sviluppando una mia sensibilità. Questo ha fatto in modo che nella mia collezione si creassero dei dialoghi attivi e stimolanti tra le varie opere. Come per Marine Huggonier nell’opera «ART FOR MODERN ARCHITECTURE», in cui l’artista ha coperto, lì dove c’erano foto di cronaca derivanti da quotidiani palestinesi, delle sagome ritagliate dalla grammatica dell’astrazione di Ellsworth Kelly, così anche Ai Weiwei, nell’opera «Colored vases», ricopre antichi vasi della dinastia Han con colore da carrozzeria. Ciò simboleggia il voler coprire la storia, ma anche l’impossibilità di cancellarla poiché rimane sedimentata, anche se coperta. Ma potrei citare anche Marlene Dumas, in collezione con cinque nudi che ci interrogano sulla relazione tra corpo e identità, temi che ritrovo in Shirin Neshat. C’è anche una delle mie ultime acquisizioni, un’opera di Marinella Senatore, che riesce a far convivere nella musica, performance, arti visive e cinema.

Ci sono anche opere di Armando Testa...
Credo che il lavoro di Armando non abbia esaurito la sua capacità di dialogare con la contemporaneità, e che la sua produzione artistica dovrebbe essere riscoperta e valorizzata. Alcune sue ricerche anticipano tematiche che verranno poi trattate da altri artisti negli anni successivi. Le mostre dedicate ad Armando in gallerie come Lia Rumma e Continua sono il segno di questo crescente interesse per il suo lavoro. Basti pensare a come Armando avesse intuito con lungimiranza il ruolo attivo che avrebbe svolto il pubblico nel manipolare e rivivere le immagini.

Continuerà la sua attività di collezionista?
Assolutamente sì, poiché ritengo che il collezionismo sia anche un’attività vitale per sostenere l’arte contemporanea, in particolare quella italiana. Proprio per questo nel 2003 ho fondato Acacia, l’associazione Amici Arte Contemporanea Italiana, che si prefigge di supportare la più recente e consolidata arte italiana attraverso una nuova forma di impegno corale da parte dei collezionisti che ho voluto definire «mecenatismo collettivo». Infatti la Collezione Acacia, che consta di 36 opere di 24 artisti ed è tuttora in progress, è stata donata al Museo del Novecento di Milano a partire dal 2015. Anche Milano è una città a me cara, dove spero possa presto vedere la luce il tanto atteso museo di arte contemporanea.

«Lasst tausend blumen bluhen» (1998) di Anselm Kiefer. Cortesia dell’artista

Gemma de Angelis Testa. Foto Fabio Mantegna

Enrico Tantucci, 16 marzo 2023 | © Riproduzione riservata

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