Gastone Novelli al lavoro nella sua casa di Saturnia nel 1965

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Gastone Novelli al lavoro nella sua casa di Saturnia nel 1965

Gastone Novelli civilmente arcaico

Accostate a reperti etruschi le opere dell’artista rivisitano gli anni in cui, tra acque sulfuree e riti conviviali, nasceva un cenacolo intellettuale

A Saturnia, vicino alle cascate sulfuree del Gorello, nei primi anni Sessanta elesse Gastone Novelli il suo buen retiro. Chissà se pensava ai «Saturnia regna» della Quarta Ecloga, all’età dell’oro destinata cioè a ritornare alla fine dei tempi, al «novus ordo seclorum» che per i lettori medievali di Virgilio prefigurava il Regno di Cristo (e che figura pure sullo stemma imperiale e massonico degli Stati Uniti d’America). In questa sua Maremma d’elezione è stata allestita una mostra che per la prima volta mette a tema i riflessi che la frequentazione di questo territorio ebbe nell’opera di Novelli.

Già un bel libro curato da Zeno Birolli nel trentennale della morte (Saturnia, Corraini 1998) aveva raccolto i testi degli amici scrittori del Gruppo 63, come Elio Pagliarani, Giorgio Manganelli e Alfredo Giuliani, che ricordavano i riti conviviali, parodicamente misterici, ivi organizzati in quei favolosi anni Sessanta. Rievoca per esempio Gianni Novak un Capodanno nel quale «mezza piazza del Popolo scolava e tracannava fiumi di champagne sguazzando in mutande nelle acque calde e misteriose della piscina di Saturnia». In un paio di foto si vedono Novelli e Giuliani deliziati dalle acque sulfuree del Gorello (oggi ridotte a un rigagnolo), e il curatore dei Novissimi così concludeva il suo ricordo: «L’acqua ci massaggiava le spalle, il sole declinante ci benediva. Momenti di un’esperienza civilmente arcaica».

Dai due giovani curatori della mostra disegni, sculture e tele di Novelli sono stati esposti a fianco di reperti recuperati nei siti etruschi di Saturnia e Montemerano, e oggi conservati dalla collezione Gaspero Ciacci del locale Museo Archeologico. Non è, come capita in questi casi, un accostamento gratuito.

In catalogo un bel saggio di Vittoria Marini Clarelli ricorda come negli scritti dell’artista (raccolti nel 2019 da Nero in un’edizione alla quale va ricondotta l’odierna Novelli-renaissance) non manchino riferimenti ai riti di fondazione delle città etrusche. Per esempio nel Linguaggio figurativo e la sua funzione (1968): «Esprimersi è tracciare, incidere (come gli etruschi il campo) un universo segnico complesso, un paesaggio per l’uomo, il mare, la serie delle onde, vibrazioni, la foresta delle parole».

E proprio la matrice paesaggistica, ancorché astratta e «invisibile», come le «città» qualche anno dopo collezionate da Italo Calvino, viene a giorno nei disegni che a Saturnia s’intitolano; ma anche nelle bellissime tavole che nel ’64 Novelli dedicò a «illustrare» l’inillustrabile Hilarotragoedia con la quale, quell’anno, aveva esordito Manganelli.

Ci si ricorda dello storico Viaggio in Grecia di Novelli, riflesso nell’omonimo libro d’artista del ’66, che tanto gli salò il sangue: in un’ottica però distantissima dal classicismo, o neo-tale, che tanto Occidente moderno, e post-, vi ha feticizzato. In Grecia Novelli trova al contrario la sede di una paradossale tabula rasa: un terreno vergine dal quale ripartire, come si dice in inglese, «from scratch». Tracciando un segno sul terreno, cioè, come quelli che l’artista graffia sul muro, sulla tela, sulla terra stessa.

La serie delle «Montagne», sculture informali realizzate en plein air coi materiali naturali del territorio di Saturnia e oggi cancellate dal tempo (ma visibili nelle foto esposte in mostra), ripeteva gli archetipi misteriosi che ricorrono nella Pittura procedente da segni di Novelli (così s’intitola il suo più importante scritto teorico), ma possono ricordare pure le «Nature» di Lucio Fontana, di poco precedenti (1959-60): gli elementi minerali sono visti come materiale organico e sessuato, capace di generare nuovi organismi («Il pianeta in amore» s’intitola una tela bellissima del ’65).

In un altro curioso scritto di Novelli, le Storie di Saturnia che riportano leggende locali narrate da un contadino dei paraggi, si parla di una «Natura, turbata [...] dai suoi amici» che «accorre, ti entra nel cuore, in virtù dei suoi pretesi diritti, ti strappa l’Immaginario». Anziché a una continuità nel tempo, implicita in ogni ipostasi classicista, il riferimento all’archè di Novelli (come quello di Manganelli e Giuliani, devoti lettori di Eraclito) è a una condizione originaria: cioè alla radicale discontinuità che comporta ogni atto di fondazione.

Come insegna Michel Serres in un bellissimo libro del 1983 (ripubblicato da Mimesis nel 2021), Roma. Il libro delle fondazioni, il rito originario attribuito dalla tradizione al sulcus primigenius di Romolo, che traccia con l’aratro il disegno della città futura (e che gli archeologi hanno confermato provenire dalla tradizione etrusca), è un segno di violenza e morte che fa tutt’uno col leggendario fratricidio di Remo. Quello della fondazione è dunque, con figura etimologica, il «terreno del terrore». Ma è da questa infrazione originaria che, insieme alla sopraffazione insita in ogni potere, provengono pure ogni ritualità del diritto e ogni forma del futuro; si genera ogni vita a venire; si pongono le condizioni di qualsiasi creazione artistica.

«Gastone Novelli: Saturnia, le origini, la magia del segno», a cura di Guglielmo Buda e Anna Cristina Caputi, Saturnia, Polo culturale Pietro Aldi, 10 aprile 2022-8 gennaio 2023; catalogo Corraini 2022, pp. 64 ill. col., € 20

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Andrea Cortellessa, 12 dicembre 2022 | © Riproduzione riservata

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Gastone Novelli civilmente arcaico | Andrea Cortellessa

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