Una veduta della mostra «Lucio Fontana. Sculpture», in corso da Hauser & Wirth New York 69th Street fino al 4 febbraio

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Una veduta della mostra «Lucio Fontana. Sculpture», in corso da Hauser & Wirth New York 69th Street fino al 4 febbraio

Fontana tellurico da Hauser & Wirth

Una grande mostra internazionale delle sue sculture, parte di una trilogia, ridefinisce la portata di uno dei più grandi artisti del XX secolo

Los Angeles, New York, Hong Kong: il giro del mondo con Lucio Fontana in una spettacolare trilogia, curata da Luca Massimo Barbero e risultato della collaborazione tra la Fondazione Lucio Fontana e Hauser & Wirth. Il progetto fa parte dell’impegno di lunga data della Fondazione per approfondire e presentare a un nuovo pubblico internazionale l’opera di Fontana, a cui la galleria ha contribuito, partecipando alla realizzazione delle mostre e dei cataloghi.

Da Hauser & Wirth New York è stata da poco inaugurata «Lucio Fontana. Sculpture». La rassegna, sino al 4 febbraio, segue quella del 2020 di Hauser & Wirth Los Angeles, «Lucio Fontana. Walking the Space: Spatial Environments, 1948-1968», prima presentazione completa negli Stati Uniti degli innovativi «Ambienti spaziali» del maestro italiano. La terza puntata della trilogia, una grande antologica, si svolgerà prossimamente presso la sede di Hong Kong della galleria.

Il percorso espositivo newyorkese si snoda negli stessi spazi un tempo della galleria dei famosi mercanti d’arte Martha Jackson e David Anderson, in cui Fontana tenne la sua prima personale americana nel novembre del 1961, esattamente 61 anni fa. Una fortunata coincidenza, un segno del destino per una mostra che riunisce 79 opere, di cui 34 presentate per la prima volta negli Stati Uniti e, di queste, 14 mai esposte; sono lavori monumentali o piccolissimi, in terracotta, cemento, argilla, gesso, metallo, vetro e legno realizzati nell’arco di cinquant’anni, fino alla morte dell’artista nel 1968, in dialogo con disegni e dipinti.

«In un incipit di corrispondenze, la mostra oggi come allora apre con un quadro folgorante: “Concetto spaziale, La luna a Venezia” del 1961, racconta Barbero, che si occupa di Fontana dal 1986. Questo capolavoro, oggi di Banca Intesa, è accostato a un raro nucleo di disegni che riflettono le impressioni dell’artista sulla sua prima visita a New York, guidato dall’architetto Philip Johnson, mentore e collezionista di Fontana. È un grande ritorno per riscoprire Fontana in un’altra ottica, far conoscere la sua ricchezza come scultore, noto per il gesto del taglio quando invece già negli anni Venti (la mostra include un rarissimo gesso del ’26) la sua visione gli permetteva soluzioni azzardate e impreviste per l’epoca».

In effetti emerge un Fontana scultore assolutamente contemporaneo: l’uso quasi spregiudicato dei colori e dei materiali travalica le modalità delle scuole, la ceramica e il bronzo diventano lava, la scultura diventa lingua decisamente viva e smagliante. È un percorso di scoperte, un appuntamento imperdibile dove le creazioni, anche conosciute, si susseguono con il ritmo riconoscibile della mano curatoriale di Barbero, fatto di scarti e di svolte che sorprendono, nella profondità della ricerca e delle proposte.

La narrazione si compone con le opere: un ambiente dipinto di rosso riunisce lavori colossali come la «Figura femminile con fiori» (1948) con il «Ritratto di Teresita» (1949), la moglie, il «Concetto spaziale, Iris Clert» (1961) e «La nascita del sole» (1938).

«Qui Fontana supera l’idea del barocco, del figurativo e diventa il rinnovatore della scultura italiana ed europea. È curioso come, mentre gli altri sono ancora organico-surreali o archeologico-figurativi, lui incarni pienamente l’Informale, in una chiave personalissima che chiama Spazialismo, aggiunge Barbero. Nella stanza rossa, dove tutto si tiene in una forma di vitalità, “La nascita del sole” è una sorta di canopo primitivo, è quasi una grande Natura, io le chiamo “ceramiche telluriche”. E poi il ritratto di Teresita, che è un bronzo topazio, se si guarda bene, fra i seni ha un topazio inserito nella terracotta. Poi c’è il ritratto di Iris Clert: quest’ultima a Parigi farà la prima grande mostra delle “Nature” e poi quella delle “Fine di Dio” e tutti quei ragazzi, a partire da Yves Klein, ritengono Fontana, ormai sessantenne, un padre elettivo, un grande anticipatore».

L’esposizione si snoda su tre piani: il secondo piano offre una nuova lettura dei primi «Buchi», «Concetto spaziale» del 1949, uno della Fondazione Fontana, e l’altro della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, «due capisaldi, che non sono distruzione, sono la luce che passa attraverso». Altra sala, altra sorpresa: il curatore ha scelto di esporre l’«Arlecchino» (1948-49) di spalle rispetto a chi entra, proprio per rivelare il colore della terra e per sperimentarne le dimensioni, obbligando il visitatore a girare intorno a questo sberleffo magnifico, con l’idea di camminare verso Fontana.

È una mostra museale, non commerciale, non c’è niente da vendere, ma in una galleria. «Hauser & Wirth, precisa Barbero, ha fatto propria una missione di aggiornamento culturale più veloce, non commerciale, con una visibilità straordinaria e di comunicazione che purtroppo le macchine museali adesso non hanno. Da tempo, soprattutto negli Stati Uniti, la ricerca alternativa è fatta dalle grandi gallerie con portata intercontinentale. La formazione è molto importante. Se questa è una mostra museale mi fa piacere, vuol dire che è riuscita, e che Fondazione, Hauser & Wirth ed eventualmente il curatore l’hanno realizzata in modo impegnativo. Non essendo una mostra commerciale ha avuto la grande possibilità di scegliere pezzi museali, questo è il grande tema».

L’impegno di Hauser & Wirth su Fontana è testimoniato anche dall’elegante catalogo. «È stata un’ottima collaborazione anche dal punto di vista della casa editrice, afferma Silvia Ardemagni, presidente della Fondazione Fontana. Abbiamo chiesto che il catalogo fosse fatto da un grafico italiano molto riconosciuto, Leonardo Sonnoli, due volte Compasso d’Oro, e loro lo hanno subito coinvolto». Il prodotto finale è una pubblicazione densa e ben riuscita, che rimarrà certamente anche come prezioso testo di riferimento, in una confezione maneggevole, avvolta nell’oro e nel rosa tanto utilizzati da Fontana.

«Una delle missioni della galleria Hauser & Wirth 69th Street è quella di esplorare storie alternative e portare alla luce artisti e corpus di lavoro precedentemente sottovalutati, approfondire l’arte del XX secolo in modi che rinvigoriscono e sfidano le interpretazioni tradizionali, precisa Koji Inoue, Senior Director of Sales, Americas, di Hauser & Wirth. La produzione scultorea di Lucio Fontana è al centro dell’attuale presentazione culminata con l’uscita a fine novembre del catalogo ragionato delle sculture in ceramica curato da Luca Massimo Barbero in collaborazione con la Fondazione».

A proposito dei riscontri commerciali attesi da una tale operazione scientifica, Inoue chiarisce che «al successo di critica segue sempre il successo commerciale delle nostre mostre. Il nostro obiettivo principale è presentare l’esperienza più brillante, interessante e illuminante con l’artista. L’arte viene prima di tutto. Questo è sempre il percorso verso la risposta commerciale».

Sulla scelta di Hong Kong come terza tappa invece afferma: «La galleria considera parte centrale della sua missione quella di collegare i punti tra passato e presente, opere storiche e contemporanee, arte europea e americana, latinoamericana e asiatica. E cerca di collegare i punti tra epoche e tendenze, tra personaggi famosi e meno noti, in modi che arricchiscono la storia dell’arte e ampliano il dialogo culturale».

La rassegna si conclude con due «Ellissi» del 1967, una specie di tripode e un meraviglioso, grande siluro rosa, che sembra partire nello spazio, con il suo artista che è nella piena modernità. «Quando ha scritto della vasta gamma di mezzi artistici che Fontana ha padroneggiato durante la sua vita, Enrico Crispolti ha posto la domanda: “E se fosse stato solo uno scultore?”, aggiunge Inoue. La mostra da Hauser & Wirth stuzzica questo quesito...».

E con le opere esposte dà una risposta, la stessa che aveva già fornito Fontana molti anni prima: «Mio padre era un bravo scultore. Volevo fare lo scultore, mi sarebbe piaciuto fare anche il pittore, come mio nonno, ma mi sono reso conto che questi termini specifici dell’arte non fanno per me e mi sono sentito un artista spaziale».

Una veduta della mostra «Lucio Fontana. Sculpture», in corso da Hauser & Wirth New York 69th Street fino al 4 febbraio

Michela Moro, 21 dicembre 2022 | © Riproduzione riservata

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Fontana tellurico da Hauser & Wirth | Michela Moro

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