Flebo e stampanti 3D per i calchi di Pompei

Una restauratrice al lavoro su un calco
Carlo Avvisati |  | Pompei (NA)

Tre lacci emostatici, altrettanti aghi e sacche contenenti una soluzione speciale: sono le «flebo» utilizzate per stabilizzare il gesso del calco di uno dei pompeiani morti durante l’eruzione del 79 d.C. A ricevere queste moderne cure «ospedaliere» nel laboratorio di restauro della Soprintendenza archeologica di Pompei, allestito negli spazi della contigua Insula Occidentalis, sono le ottantasei «forme umane» (come venivano definite dagli archeologi ottocenteschi) contenenti, perfettamente conservato, l’intero scheletro dell’individuo.

Una ventina di quei calchi saranno esposti nella mostra «Pompei e l’Europa. 1748-1943» che aprirà il 26 maggio nell’anfiteatro di Pompei, con un allestimento speciale di Francesco Venezia. Il cantiere di restauro, aperto oggi per la prima volta, consente di osservare da vicino le operazioni di recupero che gli specialisti di Giancarlo Napoli, coordinati dal restauratore capo
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© Riproduzione riservata Un restauratore mentre effettua rilievi su un calco con il laser scanner La copia di un calco appena realizzata con la stampante 3D Un calco con flebo per il consolidamento del gesso antico La stampante 3D in azione con la copia di un calco appena realizzata Il soprintendente Massimo Osanna con uno dei calchi eseguiti da Giuseppe Fiorelli nel 1863
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