Firmato Barsanti 1901

Un rilievo in stucco dipinto appeso a una boiserie della biblioteca del Museo Egizio del Cairo racconta la storia di un presunto «egittologo»

Il medaglione con il profilo di Auguste Mariette firmato Barsanti
Marco Riccòmini |

Appannando il vetro impolverato delle vecchie teche al Museo Egizio del Cairo per vedere quanto più da vicino possibile una stele o un rilievo (quando non lo si poteva sfiorare col naso o toccare col dito), una volta o due mi è venuto da chiedermi se quel che luccicava fosse per davvero tutto oro. Sarà che a mettere la pulce nell’orecchio avevo a fianco un egittologo di lungo corso, sarà che da sempre m’accompagna il dubbio.

Poi, un giorno, intrufolandomi in quella che un tempo era la biblioteca del Museo, m’accorsi d’un rilievo in stucco dipinto appeso a una boiserie: una grande medaglia con il profilo di Auguste Mariette (1821-81), ideatore del Museo Egizio. Barba corta e fez d’ordinanza, il volto è in tutto simile a quello del bronzo a figura intera del celebre egittologo francese nel mausoleo dedicato alla sua memoria (e ai suoi resti mortali) inaugurato nel giardino del Museo del Cairo nel marzo 1904, opera di Denys Puech (1854-1942).

Ma il gesso è firmato e datato: «A. Barsanti 1901», ovvero Alessandro (o «Alexandre») Barsanti (1858-1917) che, nato ad Alessandria d’Egitto da genitori toscani, studiò Ingegneria in Italia per poi tornare all’ombra delle piramidi e trovare impiego nel Servizio delle Antichità. Sebbene le succinte biografie lo definiscano «egittologo», come si spiega nel ricordo dedicatogli da Georges Daressy sugli Annales du Service des Antiquités de l’Egypte, stampati al Cairo dall’Institut Français d’Archéologie Orientale nel 1917, Barsanti conosceva poco («suffisamment») i geroglifici ed era soprattutto un direttore dei lavori che, con «una piccola squadra di muratori, facchini e carpentieri, sapeva muovere grandi blocchi di pietra con rulli, leve e funi, come facevano gli antichi»; inoltre, era pratico di tecniche di restauro e sapeva preparare all’esposizione museale le opere danneggiate.

E, come mostra lo stucco ora scoperto, se la cavava anche nel modellato. Chissà che, facendo fede a quel che di lui si diceva, ossia che «apparteneva alla classe di uomini che fanno più di quanto parlano», non si sia, zitto zitto, qua e là «allargato» per aggiustare o completare qualcosa, lasciando che il dubbio con il tempo sorgesse.

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