Falsi presunti

È una prassi discutibile l’attestazione di non autenticità di un’opera conferita anche senza un processo o, peggio ancora, senza che la contraffazione sia stata accertata in sentenza o in contraddittorio

«Olandese» (1931) di Osvaldo Barbieri detto BOT
Gloria Gatti |

Il 12 ottobre 2021 il Gip di Milano ha disposto, per intervenuta prescrizione del reato di contraffazione ex art. 178 cbc, l’archiviazione di un procedimento penale ordinando la restituzione di due opere di rilevante valore ai proprietari, terzi estranei al reato, previo ordine di apposizione dell’attestazione di non autenticità prevista dall’art. 179 cdc sulle opere.

Stessa sorte è toccata nel 2015 ai BOT, Barbieri Oswaldo Terribile, pittore futurista, della «collezione Spreti», in cui il decreto di archiviazione per avvenuta prescrizione del Tribunale di Venezia «ha disposto la restituzione agli aventi diritto dei falsi dipinti a firma BOT, sequestrati nel corso delle indagini, secondo la seguente modalità: previa apposizione, sul retro delle opere riconosciute false, della dicitura “contraffatta” o analogo, idoneo a dare conto della falsità del reperto [omissis] considerata la necessità primaria di tutelare eventuali terzi in buona fede, affinché le stesse non vengano poste nuovamente in circolazione come esemplari autentici e che tale circostanza non possa aprioristicamente escludersi, anche quale evento incidentale indipendente dalla volontà dei proprietari (es. in caso di successione ereditaria o di patito furto)», avvisando «che le opere da restituire, in quanto contraffatte, non potranno essere vendute e/o cedute a terzi, anche a titolo gratuito, come opere originali, per non incorrere nella violazione prevista e punita daIl’art. 178 comma 1, lettera B) del D.L.vo 42/2004».

Ma se il nostro «senso del giusto», davanti alla confessione del falsario di BOT detto il Terribile, che oltre alle opere aveva falsificato anche la corrispondenza con il Marchese Vittorio Spreti, ci ha fatto guardare con magnanimità a questo «rovescio del diritto», la «pena» inflitta sine lege ai diritti domenicali del proprietario delle opere «dannate» dal Gip di Milano per prescrizione, senza che fosse mai stato celebrato un processo o accertata la contraffazione in sentenza o in contraddittorio, ci è parsa illegittima e ingiusta.

L’art. 179 cbc, prevede, infatti, soltanto che «le disposizioni dell’art. 178 non si applicano a chi riproduce, detiene, pone in vendita o altrimenti diffonde copie di opere di pittura, di scultura o di grafica, ovvero copie di oggetti di antichità o di interesse storico o archeologico, dichiarate espressamente non autentiche all’atto della esposizione o della vendita, mediante annotazione scritta sull’opera o sull’oggetto» e nulla dice a proposito del conferimento del potere ai giudicanti di ordinare una tale attestazione.

Si limita, cioè, a escludere dall’alveo della punibilità tutti i casi in cui i terzi hanno legale conoscenza della non autenticità delle opere in caso di esposizione e/o vendita, non ricorrendo una lesione della fede pubblica, un pericolo nella correttezza degli scambi o di danno al patrimonio culturale.

La previsione era nata per consentire il mercato dei falsi d’autore e delle imitazioni e le mostre dei falsi d’arte, come quella «In difesa della bellezza», ove nel 2019 sono state esposte le opere contraffatte sequestrate dalla Tpc (Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale) e non per introdurre una pena accessoria o una misura ablatoria per il reato di contraffazione.

Da principio, pare che questa discutibile prassi sia stata adottata a tutela della correttezza degli scambi, per colmare il vuoto legislativo, sugli esemplari risultati contraffatti ma appartenenti a persone estranee al reato, quali i terzi acquirenti di buona fede, non passibili di subire un provvedimento di confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 178, co. IV, che è l’unica misura di sicurezza applicabile nel campo dell’arte.

Da quel «sempre», però, contenuto nell’art. 178, co. IV, che consente la confisca anche quando l’accertamento della falsità dell’opera è avvenuto soltanto attraverso una perizia disposta nel contraddittorio fra le parti (Cass. Pen. 30687/2021), anche senza una pronuncia di condanna, a questi non isolati «rovesci del diritto», il passo è stato breve.

E anche se quei provvedimenti abnormi in taluni casi sono stati il frutto di una concorde richiesta della persona offesa e del terzo estraneo al reato (come nel caso in cui Christo aveva disconosciuto una sua opera), consentendo che il proprietario la conservasse come valore affettivo in cambio della «lettera scarlatta», i più recenti orientamenti del Tribunale di Milano (sentenza 5070/2020), hanno ordinato la restituzione delle opere, e assolto gli imputati perché il fatto non sussiste nell’ipotesi in cui «non apparisse provata con la dovuta certezza la sicura falsità delle opere» anche alla fine di processi celebrati.

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