Fabrizio Prevedello: camminando scopriamo la vera natura del mondo

Lo scultore veneto, da anni stabilitosi ai piedi delle cave apuane, espone nella galleria di Sara Zanin a Roma i suoi «dispositivi visivi»

Un’opera del 2018 di Fabrizio Prevedello
Francesca Romana Morelli |  | Roma

In un’intervista rilasciata nel dicembre 2018 Richard Long si definisce un «walking artist» e sostiene che «ogni artista che cammina può utilizzare l’esperienza del camminare come base da cui creare la propria arte. Ciò apre a diverse possibilità, più fuori nella vita che dentro le priorità degli storici dell’arte», i quali, a suo giudizio, non vedono oltre la Land Art.

In questa apertura prospettata da Long si può collocare la ricerca di Fabrizio Prevedello (Padova, 1972). Formatosi tra Carrara e Berlino, dal 2003 si è stabilito in Versilia, ai piedi delle Apuane, dove spesso compie delle camminate ed esplora cave antiche. I frammenti di marmo raccolti o altri pezzi di pietre reperiti altrove, nelle sue opere li lega, spesso senza alterarli, con materiali industriali come putrelle e tondini di ferro o lastre di vetro.

Fino all'11 novembre a Roma, da z2o Sara Zanin, Prevedello ha una personale, costituita da una decina di lavori, concepiti come dei «dispositivi visivi» (così li definisce l’artista), che spingono il riguardante all’incontro di sé con sé, alla ricerca di nuove verità, in relazione allo spazio del vissuto. Nella mostra, intitolata «Mani», lo scultore desidera orientare lo spettatore a compiere un’esperienza concreta, per portare lo sguardo ad attraversare la cortina della realtà.

Posta all’inizio dell’itinerario espositivo, «Cerchio» (2018) è una scultura a parete composta da lastre di vetro orizzontali e inquadrate da tre poligoni in materiali industriali che in maniera approssimativa tracciano dei cerchi. «Disegno» (2018), invece, incardina su due lastre di cemento armato ortogonali un foglio di carta su cui l’artista, nel corso di una camminata, ha schizzato un tratto delle Apuane. La capacità odierna di sfruttamento delle cave erode velocemente quelle montagne, modificando vistosamente il paesaggio, che non corrisponde più a quello veduto da Prevedello.

Ogni scultura esposta rivela così un percorso insidioso e franabile per lo spettatore che vi s’incammina fino a prendere coscienza della natura labile, transitoria del mondo sensibile. Quell’atto di accettazione, tuttavia, alla fine si trasforma in una scelta contraria: la capacità di governare il nostro vivere in una dimensione spaziale ben più solida e vasta dell’ordinario.

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