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Ecce ovo

L’artista tedesca Judith Hopf, classe 1969, è oramai nota nel mondo dell’arte contemporanea per il suo humour leggero, che s’accompagna a un linguaggio visivo immediato, a tratti «amatoriale». Basti pensare alle sue greggi di pecore di cemento, dalle fattezze fumettistiche, o alla foresta di bambù fatta di pile di bicchieri di vetro, esposta all’edizione 2013 di dOCUMENTA. Un’arte, quella della Hopf, animata da un’autoironia esilarante, tanto da farle dichiarare che «in una scala da 1 a 100, in termini di abilità manuale, mi reputo un’artista da 40».

Il Museion le dedica sino all’8 gennaio una personale, la sua prima in un’istituzione italiana. Trenta i lavori in mostra, tra video, sculture e disegni, esposti nel Passage, lo spazio al piano terra progettato da Martino Gamper, e al quarto piano del museo. Apre l’esposizione il video «Lily’s Laptop» (2013), nel quale una ragazza alla pari, lasciata sola in casa senza il permesso di usare il computer, si vendica allagando l’appartamento: un’opera la cui verve comica anticipa il tono fresco e giocoso dell’intera mostra.

Un tendone al quarto piano, prodotto appositamente per Museion, ospita uno dei video più noti della Hopf, dal titolo «Some End of Things: The Conception of Youth» (2011). Qui un uomo travestito da uovo gigante rimane incastrato nella porta di un edificio modernista. Unica opzione per attraversare il varco è rompere il proprio guscio: è il modo in cui l’artista s’interroga sulle dinamiche dell’esclusione sociale. Oltre alle pecore in cemento, in mostra è presente una serie di venti corvi, sculture realizzate partendo da scatole di medicinali e poi rimodellate in porcellana, posizionate su ringhiere accanto alle grandi vetrate del Museion. Completano l’antologica nuove produzioni in mattoni e collage con disegni a inchiostro che ritraggono computer personificati.

Federico Florian, 16 novembre 2016 | © Riproduzione riservata

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Ecce ovo | Federico Florian

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