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Dono a te per celebrare me

Julia Halperin, Javier Pes

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Per far fronte ai propri programmi di ristrutturazione o espansione, i musei statunitensi puntano sempre di più sulle donazioni dei privati. Gli assegni a sei e sette zeri da parte di filantropi, appassionati, sostenitori si moltiplicano, da un lato anche grazie alla ripresa dell’economia a stelle e strisce, dall’altro sull’onda del desiderio di molti «figli del baby boom», in procinto di pensione, di lasciare il proprio segno nella storia dell’America, o per lo meno dell’arte. Secondo la Giving Usa Foundation, tra il 2009 e il 2013 le elargizioni in favore di  progetti legati all’arte, alla cultura o alle charity sono aumentati del 22%, toccando la quota di 16,6 miliardi di dollari (14,6 miliardi di euro). Lo scorso mese il Museum of Fine Arts (Mfa) di Houston, in Texas, ha annunciato di aver raccolto, in meno di due anni, 330 milioni di dollari (291 in euro) dei 450 necessari per il proprio piano di espansione, su progetto di Steven Holl. Ancor meglio ha fatto la Smithsonian Institution di Washington, capace di mettere insieme 1 miliardo di dollari in quattro anni per quella che Cynthia Brandt-Stover, responsabile del fundraising dell’istituto, ha definito «la più ambiziosa campagna mai intrapresa da un’istituzione culturale».
Per gestire queste delicate operazioni di raccolta molti musei stanno assumendo nuovi professionisti dedicati, dopo aver in diversi casi (Frick Collection e Met di New York, oltre allo stesso Mfa di Houston) anche cambiato negli ultimi cinque anni i direttori, per gettare le basi di un’eredità che resti nel tempo. In tutti questi casi la parola d’ordine resta comunque la discrezione. «È fondamentale, almeno fino a quando non si capisce esattamente che cosa è davvero possibile ottenere», dice Kimerly Rorschach, direttore del Seattle Art Museum. Quando una buona parte dell’obiettivo è stato raggiunto si esce allo scoperto, cercando di allargare la base e coinvolgere nuovi donatori per concretizzare il progetto. «Ma, ricorda Brandt-Stover, non siamo più negli anni in cui bastava riunire sei persone attorno a un tavolo. I tempi sono cambiati, non riceveremo più donazioni singole da 300 milioni». Il San Francisco Museum of Modern Art (SFMoMA), per esempio, in meno di cinque anni, ha messo insieme oltre 570 milioni di dollari (oltre 500 milioni di euro) da 173 diversi finanziatori per dare corpo a un ampliamento da 610 milioni. E lo Smithsonian ha potuto contare su 192 «regali» da 1 milione o più. Alcuni mettono in dubbio che i progetti edilizi siano il miglior modo per usare questo nuovo flusso di denaro. Chissà se qualcuno dei nuovi direttori, curatori o fundraiser convincerà i propri potenziali benefattori puntando anche su progetti educativi, sostegno alla ricerca e nuovi modi di coinvolgere la comunità locale?

Julia Halperin, Javier Pes, 02 marzo 2015 | © Riproduzione riservata

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