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«Tombeau d'un roi maure» (1929) di Alberto Savinio

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«Tombeau d'un roi maure» (1929) di Alberto Savinio

De Chinio e Savirico

Gli intrecci tra i Dioscuri della Metafisica alla Fondazione Magnani Rocca

Guglielmo Gigliotti

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La Fondazione Magnani Rocca, con la mostra «De Chirico e Savinio», aperta dal 16 marzo al 30 giugno, riunisce 130 opere selezionate dai curatori Alice Ensabella e Stefano Roffi. Dipinti, opere grafiche, bozzetti per costumi e per scenografie teatrali illustrano l’avventura di due fratelli. Giorgio de Chirico nasce in Grecia nel 1888, tre anni prima di Andrea, che per distinguersi dal fratello firmerà le sue opere, prima musicali, poi letterarie, e dal 1926 pittoriche, con lo pseudonimo di Alberto Savinio. Insieme si recheranno a Monaco dal 1906 al 1909, insieme soggiorneranno a Parigi dal 1911 al 1915 e poi come soldati a Ferrara durante la prima guerra mondiale. Dopo i primi anni Venti sono a Roma, per tornare a Parigi alla fine del decennio, e ritrovarsi nel 1933 di nuovo a Roma, fino alla morte (Savinio nel 1952, de Chirico nel 1978).

Del più grande dei fratelli sono in mostra opere che spaziano dal periodo metafisico, tra cui «Enigma della partenza» del 1914, seguite da dipinti dalle serie dei «Gladiatori», degli «Archeologi», dei «Mobili in una valle» e dei «Cavalli in riva al mare», oltre che autoritratti e nature morte.

Di Alberto Savinio si possono vedere gli affondi ironici in una mitologia greca rivisitata con spirito surreale, le compenetrazioni tra uomo e animale e i policromi accumuli di giocattoli. Dei due «fondatori di una mitologia moderna», secondo una definizione di Breton, la mostra intende però evidenziare anche le differenze: freddo e mentale de Chirico, caldo e sensuale Savinio. Non a caso, secondo Jean Cocteau, erano «uno la spiegazione dell’altro».

«Tombeau d'un roi maure» (1929) di Alberto Savinio

Guglielmo Gigliotti, 15 marzo 2019 | © Riproduzione riservata

De Chinio e Savirico | Guglielmo Gigliotti

De Chinio e Savirico | Guglielmo Gigliotti