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Cyborg sotto i denti

Della scorsa edizione della Biennale di Venezia, molti ricorderanno l’installazione dell’artista francese Lili Reynaud-Dewar (La Rochelle, 1975) all’Arsenale: una foresta di tendaggi colorati, in mezzo ai quali un video mostrava l’artista nuda, con il corpo dipinto di rosso, intenta a danzare nelle stanze vuote della Fondazione Querini Stampalia.

Fino al 7 maggio, per la sua personale al Museion, l’artista danzerà nelle sale del museo di Bolzano sempre senza veli, ma questa volta dipinta d’argento. Una danza i cui movimenti alludono a quelli della ballerina e attivista per i diritti civili franco-americana Joséphine Baker. È questa solo una delle opere che compongono l’attuale esposizione, realizzata in collaborazione con il Kunstverein di Amburgo e la Vleeshal di Middelburg.

«Teeth, Gums, Machines, Future, Society» è una mostra fatta di sculture, stampe, musica e immagini in movimento; un microcosmo caleidoscopico e rumoroso (della musica «noise» fa da sottofondo), in cui un corpo postumano, espanso da protesi (nello specifico le «grills», coperture metalliche per denti emerse nella cultura rap e hip hop degli anni Novanta), è protagonista.

Fulcro concettuale della mostra è un film su grande schermo che dà il nome all’esposizione: girato a Memphis, città simbolo della lotta per i diritti civili dei neri, il video mostra una performer, dotata di grills ai denti, leggere estratti dal Manifesto Cyborg di Donna Haraway, mentre un gruppo di quattro comici si lancia in un dialogo improvvisato. Il cyborg, metafora di un futuro privo di categorizzazioni e opposizioni binarie ben definite (come quelle tra uomo e macchina, maschile e femminile, bianco e nero), è evocato dal corpo argentato dell’artista e dalle protesi dentali indossate dall’attrice.

Le stesse grills, ingigantite e trasformate in elementi scultorei, punteggiano lo spazio espositivo: queste lucenti strutture odontoiatriche fungono anche da cestini, nei quali è presente l’immondizia raccolta dall’artista a Memphis durante le riprese per il film. Fra gli altri elementi di scena figurano sei sgabelli (gli stessi presenti nel film) e 26 grandi pannelli appesi alle pareti, che riportano passi tratti dal Manifesto Cyborg in italiano e in tedesco. Attraverso una sottile operazione di appropriazione culturale, l’artista lancia un interrogativo profondo: in che cosa consiste l’essenza di una specifica identità culturale? E quali fattori contribuiscono a definirla?

Federico Florian, 12 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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Cyborg sotto i denti | Federico Florian

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