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Una restauratrice al lavoro sulla «Resurrezione» di Piero della Francesca

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Una restauratrice al lavoro sulla «Resurrezione» di Piero della Francesca

Concluso il restauro della Resurrezione di Piero

Concluso il restauro della Resurrezione di Piero

Laura Lombardi

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Sansepolcro (Arezzo). Si conclude il restauro della «Resurrezione» di Piero della Francesca: il capolavoro conservato al Museo Civico tornerà pienamente visibile dal 24 marzo. Eseguito tra il 1450 e il 1463 a tecnica mista, in parte ad affresco e in parte a pittura a tempera e a secco, il dipinto non era forse in origine destinato a quella parete della Sala dei Conservatori della Residenza del Palazzo del Governo, ora sede del Museo Civico. Ipotesi che, sebbene già formulata da alcuni studiosi, le indagini del restauro sembrano confermare: dipinta altrove, la «Resurrezione» sarebbe poi stata collocata sul muro attuale utilizzando, già dopo la morte di Piero, un trasporto a massello, quindi tagliando un pezzo di muro e trasportandolo su un telaio, forse il primo eseguito in età moderna. Lo annunciava, già all’inizio del restauro (finanziato con 40mila euro dal Comune e 100mila da un generoso mecenate, Aldo Osti) Cecilia Frosinini, che dirige l’équipe dei restauratori dell’Opificio delle Pietre Dure, coinvolto nel progetto insieme ai restauratori della Soprintendenza di Arezzo, ma ora, a restauro concluso, saranno resi più chiari luoghi e passaggi grazie anche allo studio approfondito dei documenti.

La «Resurrezione», la cui pulitura è stata affidata a Paola Ilaria Mariotti dell’Opificio e a Umberto Senserini della Soprintendenza aretina, soffriva di fenomeni di solfatazione e decoesione della pellicola pittorica e degli intonaci, e presentava sul lato destro una striscia scura causata dalla fuliggine e dal calore del camino posto sul muro alle spalle dell’affresco. I colori della «Resurrezione» appaiono ora molto più vivi grazie alla presenza di pigmenti propri della tempera, mescolati ad altri dell’affresco, con l’intento, ricercato da Piero, di avvicinarsi agli effetti pittorici dei dipinti su tavola.
Svolgendo un tema «iconograficamente obbligato», come osservava Eugenio Battisti nel 1971, perché connesso all’emblema eponimo della cittadina, Piero non si distacca troppo dalla tradizione, svelando ad esempio affinità col «Polittico» di Niccolò di Segna oggi in Cattedrale. Tra le varianti iconografiche del soggetto, elencate da Louis Réau nel 1957, Piero sceglie quello del Cristo nell’atto di scavalcare il sepolcro. Per Aldous Huxley era l’opera dipinta «più bella al mondo».

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Laura Lombardi, 16 marzo 2018 | © Riproduzione riservata

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