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Collezionisti di storie

Michela Moro

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Dalle piume di struzzo alla fotografia il passo è lungo 125 anni: piume e pietre preziose erano l’attività della torinese famiglia Bolaffi prima che l’intraprendente Alberto si dedicasse alla filatelia nel 1890. 

Nel tempo gli interessi dell’attività si sono ampliati fino alle Aste Bolaffi del 1990, con la prima vendita all’incanto di francobolli, cui si sono aggiunti monete, libri antichi, autografi, antiquariato, manifesti, fotografia, vini e gioielli. In maggio avrà luogo a Milano l’asta di fotografia: «È la seconda che facciamo dopo l’esordio nel 2015 che ha totalizzato un soddisfacente 407.244 euro, commenta l’esperta del dipartimento Silvia Berselli, e ci sono maggiori aspettative. Proponiamo circa 300 lotti».

Oggi la linea di demarcazione tra arte e fotografia è sempre più sottile, qual è la vostra posizione?

Credo che il percorso nelle gallerie sia il sistema migliore per essere riconosciuti dal mercato. Quando i giovani artisti ci interpellano ricordo loro che non è la casa d’aste il luogo più adatto per crescere nella fotografia. Noi non vogliamo entrare in collisione con le gallerie e la fotografia più contemporanea. Tra l’altro oggi il paradosso è che fotografare è tecnicamente molto facile e proprio per questo è molto più difficile trovare nuovi linguaggi e nuove forme espressive. Quindi dare un giudizio obiettivo e valutare quanto dureranno nel tempo, diventa complicato.

È cambiato il collezionismo fotografico? Sono cambiati i collezionisti?

I collezionisti sono più giovani che in altri ambiti, in genere vanno dai trenta ai cinquant’anni, anche per le foto storiche, forse perché la fotografia è più vicina alla nostra sensibilità contemporanea. A grandi linee ci sono due filoni di collezionismo: chi s’interessa al fotogiornalismo sul genere di Cartier-Bresson e Robert Capa guarda con distacco chi segue la ricerca fotografica di Man Ray e viceversa. In tempi più recenti, però, chi lavora sulla denuncia sociale ed è più legato a mondi come il World Press Photo, penso ad esempio a Sebastião Salgado e Steve McCurry, è amato per le belle foto d’autore e le molte mostre che la gente ha negli occhi, travalicando i generi.

Che cosa c’è in catalogo per la prossima asta?

Una parte è dedicata all’Ottocento, mercato ridotto ma esigente che ricerca pezzi particolari. Abbiamo una serie direi osé di dagherrotipi stereoscopici, che forse una volta erano considerati pornografici. Sono immagini positive e negative da visualizzare attraverso doppie lenti, sono colorate a mano, ragazze coi fiori nei capelli, fotograficamente opere molto ben composte e riuscite.

Che cosa riserva invece il Novecento italiano?

Tra gli autori italiani più amati abbiamo Mario Giacomelli, con quindici pezzi esaustivi del suo percorso, dalla «Buona Terra» ai «Pretini». Luigi Ghirri è stato l’autore top lot della prima asta, aveva decuplicato la stima e quel successo ha fatto sì che la stima sia passata da 1.500 euro a circa 7mila/8mila, secondo tiratura e soggetto. I lavori astratti e colorati di Franco Fontana ben bilanciano e completano questo percorso nel paesaggio italiano.

E per quanto riguarda il mercato internazionale?

In trecento lotti la scelta è vasta. Tra tutti va sicuramente citato il «Tulipano triste» dell’ungherese André Kertész, (1894-1985), uno dei maggiori fotografi del XX secolo, con una base d’asta piuttosto bassa per un lavoro del genere.

Il motto di casa Bolaffi è da sempre «Per noi la storia è un oggetto da collezione». Sicuramente lo è anche la fotografia.

Michela Moro, 05 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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