Canova, ultimo principe di Roma

L’allestimento all’Accademia Nazionale di San Luca sviscera il rapporto dell’artista con l’istituzione capitolina di cui fu il più illustre direttore

«Autoritratto» (1812), di Antonio Canova. Roma, Accademia nazionale di San Luca
Guglielmo Gigliotti |  | Roma

Con «Canova, l’ultimo principe», mostra aperta dal 17 dicembre al 28 giugno, l’Accademia nazionale di San Luca celebra, in occasione del bicentenario della morte, il più importante dei direttori («principi», appunto) della storia dell’istituzione romana.

Sculture, dipinti, disegni, documenti di Antonio Canova e degli artisti del suo tempo, illustrano i rapporti dello scultore veneto, romano d’adozione, con l’Accademia nata nel 1593, nonché con l’amata città eterna. Nel 1800 infatti Canova venne eletto accademico, nel 1810 assurse a principe, e nel 1814 venne proclamato «principe perpetuo», ovvero a vita, l’ultimo ad avere avuto questo onore. Perché?

Perché Canova è stato il più noto artista del suo tempo, richiesto da tutte le corti europee, da Caterina II a Napoleone, e acclamato in ogni dove quale maggiore esponente della scultura neoclassica. Glorificato in vita come solo capitò a Michelangelo, Bernini e Raffaello, con quest’ultimo condivise il destino di essere insignito dal papa della mansione di ciò che si può definire ministro della cultura dello stato pontificio: «ispettore generale di tutte le Belle Arti per Roma e lo Stato pontificio, con soprintendenza ai Musei Vaticani e Capitolini e all’Accademia di San Luca».

Per l’Accademia Canova si prodigò molto, avendo bene a mente il ruolo svolto dalla formazione nel destino di un artista. La mostra sviscera proprio le metodologie didattiche promosse dal Canova, i concorsi da lui personalmente sovvenzionati, nonché il contesto culturale e politico in cui operò. Nel 1797, il Trattato di Tolentino sancì l’inizio delle spoliazioni napoleoniche, da Canova patite con gran dolore.

Ma dopo Waterloo, fu lui a essere incaricato al recupero di gran parte dei capolavori d’arte sottratti in Italia dalle truppe francesi. Qui manifestò particolari capacità diplomatiche e una chiara percezione dei valori di unità storica delle collezioni. Fu anche per questo che Pio VII lo insignì del titolo di Marchese di Ischia. Ma il titolo che ebbe più a cuore fu quello di «principe perpetuo» delle arti.

La mostra è a cura di Carolina Brook, Elisa Camboni, Fabrizio Carinci, Giulia De Marchi e Serenita Papaldo.

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