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Camera Picta libanese

La Fondazione VOLUME! cambia pelle ancora una volta e trasforma i propri spazi in una sorta di grande deposito, un labirinto fatto di trenta casse da imballaggio dipinte capaci di trasformare gli ambienti di via san Francesco di Sales in uno storage reale e, allo stesso tempo, immaginario. L’effetto è quello di una «camera picta», con le riproduzioni di ritratti, paesaggi o composizioni astratte realizzate da artisti mediorientali nati tra il 1883 e il 1951.

Il fatto che l’installazione (visitabile fino al 21 aprile) sia il frutto dell’immaginazione di Walid Raad (1967), artista libanese tra le personalità artistiche più interessanti a livello internazionale, ci costringe però a guardare oltre la superficie pittorica, dentro le casse e anche più in là. Il progetto, curato da Claudia Gioia, ha come titolo «Yet Another Letter to the Reader», e prosegue la riflessione di Raad avviata nel 2015 con «Postscript to the Arabic Translation» (presentato presso il deposito della Aishti Foundation, appena fuori Beirut) e «Another Letter to the Reader» (recentemente presentato alla XI Biennale di Gwangju).

L’artista, che ha appena visto chiudersi un’importante retrospettiva al MoMA di New York (città in cui vive e lavora), da sempre si occupa della martoriata situazione della sua terra, dell’identità e della storia recente del Medio Oriente. Dal 2007, con «Scratching on Things I Could Disavow», riflette sulla comparsa nel mondo arabo di grandi infrastrutture dedicate alle arti contemporanee e sulle loro «scelte». Così la riproduzione su casse da imballaggio di dipinti realizzati alcuni decenni fa da artisti quali Huguette Caland, Shakir Hassan Al Said o Hamid Nada diventa metafora di un’assenza, un motivo di riflessione, anche politica

Silvano Manganaro, 05 aprile 2017 | © Riproduzione riservata

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Camera Picta libanese | Silvano Manganaro

Camera Picta libanese | Silvano Manganaro