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Astratti, silenti e visionari

Chi sono i sei italiani che Christine Macel ha scelto per «Viva Arte Viva»

In tempi difficili, in cui si affacciano nuove spinte autoritarie e nazionaliste, fondamentalismi e imperialismi, mentre la povertà e l’immigrazione dilagano, tramutare la Biennale di Venezia in una succursale di Art Basel suonerebbe sconveniente, tanto più nella sempiterna e un po’ ipocrita correttezza politica che governa l’arte contemporanea nel suo versante extramercantile (che comunque non esiste). Di qui il contagocce con cui Christine Macel, curatrice della mostra, ha selezionato le superstar (Philippe Parreno, Franz West, Kiki Smith, Olafur Eliasson, Anri Sala, Gabriel Orozco, John Latham, Ernesto Neto e Cerith Wyn Evans), la parsimonia (finalmente dopo le ipertrofiche e prolisse biennali di anni passati) nel numero di artisti invitati (120) e il ricorso a molti outsider, a più del 10% di autori scomparsi e a molti altri che per la prima volta si affacciano sulla ribalta della più importante mostra d’arte contemporanea del mondo.

Riflette perfettamente questa linea la rappresentativa italiana che, tra i 120 prescelti, dovrà alimentare l’utopia di un nuovo umanesimo, tema attraverso il quale la Macel ha elaborato l’inneggiante e neoavanguardistico titolo «Viva Arte Viva», assegnando agli artisti il ruolo di modelli anche comportamentali in un mondo spietato, in cui l’arte è diventata un settore in cui imperversano speculazioni finanziarie e altre non limpidissime strategie. Va pur detto che artisti come Giorgio Griffa e Riccardo Guarneri sono due esponenti di quella pittura aniconica che sul mercato attuale gode di una fase estremamente favorevole; ma, nello stesso tempo, sono due esempi di quella silente operosità che, per usare uno di quei termini tanto cari ai curatori, è chiaro sintomo di «resilienza» in tempi tempestosi. Ne era perfetta incarnazione Maria Lai; e poi i suoi libri ricamati sono perfetti in una Biennale che pone il libro tra i suoi temi.

Lo stesso si può dire di Irma Blank, fiore all’occhiello di una galleria come la P420 di Bologna che su certo intimismo minimalista costruisce le sue eleganti proposte. Il quarantaduenne Salvatore Arancio, siciliano di stanza a Londra, è invece il perfetto rappresentante di una tendenza molto presente nella sua generazione, all’insegna di una visionarietà evocata attraverso la commistione e la coesistenza di linguaggi, culture e tecniche. Su Michele Ciacciofera, infine, e sui suoi rapporti affettivi con la curatrice si è già scatenato un gossip tutto italiano. Si tratta di un artista un po’ emarginato rispetto al circuito galleristico che conta. Di sicuro piace a Vittorio Sgarbi, che lo volle nel suo criticatissimo Padiglione Italia. Ora ritorna alla Biennale con il tocco chic di una curatela sicuramente più familiare con il sistema dell’arte contemporanea. Ma si sa, gli estremi a volte si toccano: basta cambiare il contesto.

Giorgio Griffa
Giorgio Griffa nasce a Torino nel 1936, città dove vive e lavora tuttora. Comincia a dipingere da bambino ma segue un percorso formativo che lo porterà, nel 1958, alla laurea in giurisprudenza. Tra il 1960 e il 1963 frequenta i corsi del pittore astratto Filippo Scroppo. Inizialmente figurativo, Griffa a partire dal 1968, anno della sua prima personale presso la galleria Martano di Torino, realizza le sue tele grezze, non preparate e senza telaio, caratterizzate da linee di colore che, in vario modo, le attraversano e ne vengono assorbite. «Mi limitavo ad appoggiare il colore sul supporto», dichiarerà l’artista nel 2010 a proposito della sua produzione dell’epoca. Al 1969 risale la sua prima mostra presso Gian Enzo Sperone che, con Aldo Mondino, è per Griffa un punto di riferimento nell’ambiente artistico torinese permeato dall’Arte povera. Nel 1970 espone da Ileana Sonnabend a Parigi. Partecipa alla Biennale di Venezia nel 1978 e nel 1980, alla Quadriennale di Roma nel 1986 ed è inserito nelle maggiori rassegne nazionali e internazionali dedicate all’arte italiana del dopoguerra. Risale al 2015 l’ultima antologica, organizzata dal Cac di Ginevra a cura di Andrea Bellini. La ricerca di Griffa rimane sostanzialmente invariata negli anni: l’artista regola la partizione della tela interessata dall’intervento, l’intensità e la direzione delle linee. Una riflessione coerente e concentrata sugli elementi primari della pittura che, dagli anni Ottanta e Novanta, allenta il rigore formale precedente e si apre a soluzioni più libere. 

Riccardo Guarneri 
Guarneri nasce a Firenze, dove oggi vive e lavora, nel 1933. Inizia a dipingere opere a carattere figurativo nel 1953, mentre parallelamente si dedica alla musica, suonando jazz e chitarra classica in orchestre di musica leggera. È in occasione di un concerto all’Aja negli anni 1958-59 che l’artista scopre la pittura dell’ultimo Rembrandt, nel quale individua un trattamento della materia pittorica e della luce che lo spinge verso una ricerca di tipo informale. Guarneri però si concentra soprattutto sulla luce. Dopo l’esordio in una personale all’Aja nel 1960, Guarneri supera la prima fase artistica attraverso l’elaborazione critica condivisa con Giancarlo Bargoni, Attilio Carreri, Arnaldo Esposto e Gianni Stirone, con i quali fonda il Gruppo Tempo 3. Il Gruppo opera nell’ambito di una ricerca astratta che indaga su problemi ottico-percettivi e permette così l’abbandono non solo dell’Informale ma anche la non adesione all’astrazione geometrica concreta. Nel 1966 partecipa, con Agostino Bonalumi e Paolo Scheggi, alla Biennale di Venezia; nel 1973 e poi nel 1986 alla Quadriennale di Roma. Al 1972 risale la prima mostra antologica dell’artista, presso il Westfälischer Kunstverein di Münster. Con gli anni Settanta il lavoro di Guarneri viene inserito nell’ambito delle sperimentazioni della pittura analitica, la risposta europea alla dematerializzazione concettuale dell’opera d’arte.

Maria Lai
Nata a Ulassai, nell’odierna provincia dell’Ogliastra, nel 1919, Maria Lai lascia inizialmente la Sardegna per completare la sua formazione: prima con il liceo artistico frequentato dal 1939 a Roma, in cui studia con il pittore e scultore Marino Mazzacurati; poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove frequenta il corso di scultura tenuto da Arturo Martini. Rientra in Sardegna nel dopoguerra ma è di nuovo a Roma nel 1954, città in cui tre anni dopo ha luogo, alla galleria L’Obelisco la sua prima mostra personale, incentrata sulla sua produzione di disegni tra il 1941 e 1954. Per i dieci anni seguenti l’artista si allontana dal mondo dell’arte. Riprende la sua attività dalla metà degli anni Sessanta, quando inizia il recupero della cultura tradizionale della sua terra, in particolare attraverso l’utilizzo di riferimenti a oggetti legati al mondo quotidiano femminile, come il telaio, il pane e i ricami. Nel 1971 espone i «Telai», il ciclo di opere che caratterizza i suoi successivi dieci anni di lavoro, presso la galleria Schneider di Roma. Partecipa alla Biennale di Venezia del 1978. Agli anni Ottanta appartengono i cicli delle «Geografie» e dei «Libri cuciti». L’8 settembre 1981 realizza, in collaborazione con gli abitanti di Ulassai, il suo primo intervento sul territorio con l’azione «Legarsi alla montagna», in cui tutte le case del suo paese d’origine e il monte Gedili furono legati da un nastro di colore azzurro. Maria Lai è morta a Cardedu, sempre nell’Ogliastra, nel 2013.

Salvatore Arancio
Nato nel 1974 a Catania, Arancio vive e lavora a Londra, dove nel 2005 ha conseguito un Master of Fine Arts in fotografia presso il Royal College of Art. Utilizza una vasta gamma di supporti come la fotoincisione, la scultura, la ceramica, il collage, le animazioni e il video, spesso utilizzati insieme per realizzare installazioni. Nel 2016, per esempio, alla Kunsthalle di Winterthur, nella mostra «Oh Mexico!», l’artista ha proposto «These Crystals Are Just like Globes of Light», realizzata con oltre 30 opere in ceramica, il video «El Mago» (2015), che esplora l’interno di una grotta con immagini sovrapposte ad animazioni tratte da un documentario americano degli anni Settanta, un secondo video intitolato «And These Crystals Are Just like Globes of Light» basato sul film d’animazione «La planète sauvage» (1973) disegnato da Topor, e un ultimo video «The Ascension» (2016), incentrato su un antico rito messicano della fertilità, la Danza de los Voladores. L’artista parte spesso dalla natura e dalla scienza, e dal suo immaginario, come fonti di ispirazione, come nel caso della «Grotta dei cristalli giganti messicani» oppure in quello degli «alberi di lava» delle Hawaii alla base del progetto presentato al Centre d’art contemporain La Halle des bouchers di Vienne, in Francia, nel 2015, per ricostruire paesaggi che sono insieme familiari e inquietanti, frutto della commistione di linguaggi, riferimenti, suoni e materiale trovato. È presente online con un sito personale (www.salvatorearancio.com). 

Irma Blank
Irma Blank è nata a Celle, città tedesca della Bassa Sassonia, nel 1934 e vive e lavora a Milano. In un’intervista del 2014 l’artista ha affermato che è incentrata su «la lingua, la scrittura, la pagina». In più di 40 anni di attività ha realizzato opere all’interno di grandi cicli quali «Eigenschriften», della fine degli anni Sessanta, «Trascrizioni», «Radical Writings», «Osmotic Drawings» (1996), la serie «Avant-testo» della fine degli anni Novanta, «Hyper-Text» e «Global Writings». Nel 1971 espone alla galleria Il Capitello di Roma e nel 1974 Gillo Dorfles cura la sua personale alla galleria Cenobio-Visualità a Milano. Dal 1975 espone le «Trascrizioni», eseguite a china su pagine di carta pergamena rilegate a libro, in mostre personali presso Art in Progress a Monaco, c+d Mueller-Roth a Stoccarda, galleria Milano a Milano, Folker Skulima a Berlino, O.K. Harris a New York e Chantal Crousel a Parigi. Nel 1976 partecipa alla collettiva «Frauen machen Kunst» alla galleria Philomene Magers a Bonn. L’anno seguente è presente alla sesta edizione di Documenta a Kassel e nel 1978 alla Biennale di Venezia. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta i «Radical Writings» vengono presentati in numerose personali e collettive tra cui «Bleu Carnac e storie simili», curata da Lea Vergine al Pac di Milano, e al Museum Folkwang di Essen nel 1992. Nel 2005, partecipa alla XIV Quadriennale di Roma, e nel 2010 a «Elles@Centrepompidou. Artistes femmes dans les collections du Mnam-CCI» al Centre Pompidou a Parigi.

Michele Ciacciofera
Michele Ciacciofera è nato a Nuoro nel 1969. Consegue la laurea in scienze politiche a Palermo e ritorna in Sardegna per un apprendistato con il pittore e architetto Giovanni Antonio Sulas. Dal 1990 si trasferisce a Siracusa e poi, dal 2011, vive e lavora a Parigi. Nel 2011 è presente alla Biennale di Venezia nel Padiglione Italia a cura di Vittorio Sgarbi, all’interno della mostra all’Arsenale «L’arte non è cosa nostra». Nel 2014 presenta alla Summerhall di Edimburgo un’esposizione personale, a cura di Richard De Marco, intitolata «Io odio gli indifferenti», citazione di una frase tratta da un testo di Antonio Gramsci. Al 2015 risalgono le sue partecipazioni alle mostre collettive «Nel Mezzo del Mezzo», cocurata da Christine Macel per il Museo Riso di Palermo, e «What We Call Love. From Surrealism to Now», ancora curata dalla Macel per il Museum of Modern Art Ireland (IMMA) di Dublino. Nel 2016 espone per la prima volta in Cina, al Cafa Art Museum di Pechino, in una mostra, «Enchanted Nature, Revisited», a cura di Wang Chunchen e accompagnata da un catalogo con testi dello stesso Chunchen, di Christine Macel e di Hans Ulrich Obrist, in cui l’artista ha presentato una serie di installazioni ispirate dal libro firmato dal fisico austriaco Wolfgang Pauli e da Carl Gustav Jung, L’interpretazione della natura e della psiche. La sua produzione artistica comprende pittura, scultura, scultura in ceramica, lavori su carta, disegni, installazioni, fotografie e libri d’artista. È presente online con un sito personale (www.micheleciacciofera.com/).


Schede personali di Anna Costantini

Franco Fanelli, 04 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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