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Arte su misura nella boutique Wannenes

Anna Orlando

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Il modello inglese e il rapporto personale con il venditore guidano una casa d’aste che ha radici nel XVII secolo: «Da figlio di un antiquario, spiega Guido Wannenes, resto affezionato all’idea di un’attività più “sartoriale”»

Il Dna non mente. Il nome Wannenes è legato al commercio di opere d’arte fin dal XVII secolo, quando un avo di Guido, 41 anni, attuale amministratore delegato della società Wannenes Art Auctions, compare in un documento del 1692 come importatore di arazzi dalle Fiandre. Di generazione in generazione fino ad Aldo, a lungo presidente degli antiquari genovesi, e Ivo, un riferimento a Genova per il mobile antico, rispettivamente zio e padre di Guido, e al cugino Giacomo, ben noto sulla piazza milanese. Sede a Genova, uffici a Milano e Roma, circa 20 aste all’anno, 13 esperti, una ventina di rappresentanti in Italia e uno a Parigi, la casa d’aste gode di un fatturato che è cresciuto dal milione e mezzo circa del 2001 agli oltre 11 milioni del primo semestre 2016.

Guido Wannens, come inizia la sua attività al timone della casa d’aste?

Era destino. Il passaggio dal tradizionale mestiere di antiquario alla casa d’aste risale al 2000, quando il proprietario di una ricca raccolta d’arte chiese a me e Davide Durbiano, un collega genovese, di aiutarlo a vendere. Così, dopo la prima house sale e l’uscita del mio socio, dal 2001 non mi sono più fermato. 

Con il tempo Genova è diventata sempre più periferica per la vostra attività? 

È la mia città e le sono legato. Qui c’è la sede, ma aprire a Roma (nel 2003) e a Milano (nel 2008), oltre alla rete di associati, al di là del marketing, ha garantito la presenza capillare sul territorio e un rapporto diretto con il cliente. Non tanto con chi compra, che sceglie l’oggetto e non la casa d’aste e può farlo anche via internet, ma piuttosto con chi vende, che sceglie noi tra altri. E quindi deve incontrarci e conoscerci. Da figlio di antiquario, resto affezionato all’idea di un’attività più «sartoriale», su misura del cliente e amo pensare a una «casa d’aste boutique». 

Anche guardando le case d’asta inglesi come modello?

Quelle restano i punti di riferimento fondamentali. Tra i nostri collaboratori molti provengono da quelle esperienze. A Londra abbiamo esordito con una preview nel 2010 per un’importante collezione di maioliche rinascimentali e da allora esponiamo ogni anno in occasione dell’Asian Week. Ma c’è il rischio di depersonalizzarsi se si guarda solo a quel modello. Abbiamo cercato di crearci una fisionomia, puntando su qualità e professionalità che ci sono riconosciute dai clienti, come dagli istituti bancari per cui siamo consulenti e l’Aipb (Associazione Italiana Private Banking, Ndr) ci ha scelti come partner, unica casa d’aste italiana, per collaborare al volume sull’art advisory presentato all’ultima ArteFiera di Bologna.

È molto forte il vostro settore dedicato alle trattative private e ai rapporti con i musei.

Finora ha funzionato molto bene, con 25 aste tematiche dal 2009 ad oggi, per oltre 25 milioni di euro. Tra i migliori risultati resta l’acquisto da parte del Ministero per i Beni culturali della pala di Ludovico Brea per 1,2 milioni euro nel 2010.

Com’è il mercato oggi?

È un momento magico. È molto fluido e bisogna saper cogliere questa fluidità. Talvolta andando controcorrente. Quando nel 2006 aprimmo il reparto argenti ci giudicarono dei pazzi. Il risultato del settore, 2 milioni nel 2015, è il frutto di dieci anni di investimenti. Anche in altri casi, quando gli altri chiudevano, noi aprivamo. Non mi spaventa andare in controtendenza: continuiamo ad avere l’antiquariato e i dipinti antichi come reparti trainanti sia come numero di lotti esitati, sia come fatturato. Recentemente la tavola di Neri di Bicci con i suoi 806mila euro ha fatto il record price per l’artista, contro le aspettative degli scettici. Ma ci sono altri risultati eccezionali, in linea con il trend internazionale, per esempio coi gioielli: il milione e 54mila euro della collana di perle naturali è il nostro top lot assoluto.

Qualcuno critica le stime troppo basse sui vostri cataloghi...

La casa d’aste è il notaio del mercato, non lo fa. Tutti tendono a concentrarsi sulle stime e non sulle aggiudicazioni, che rappresentano il valore effettivo delle opere.Dal 2008 ad oggi siamo passati da una fase di bulimia a una più consapevole: oggi si paga molto di più per i capolavori e il giusto per l’arredamento.

Che cosa cambierà con la Brexit? 

Non credo che ci saranno cambiamenti significativi. Però per il nostro sviluppo internazionale stiamo guardando altrove. Una nuova sfida. 

Anna Orlando, 13 settembre 2016 | © Riproduzione riservata

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