Il riconoscimento di un radicato errore di interpretazione delle culture dell’Africa nella narrazione che le culture europee ne hanno dato sta portando a un crescente numero di mostre dedicate all’arte africana che cercano di rimettere gli oggetti nel giusto contesto e di approfondire la conoscenza dei criteri estetici con cui sono stati prodotti.
Questo l’intento di «The Language of Beauty in African Art», aperta fino al 31 luglio nell’espansione del Kimbell Art Museum progettata da Renzo Piano. Organizzata da The Art Institute of Chicago, ma esposta prima al Kimbell per poi spostarsi a Chicago in autunno, la mostra è curata da Constantine Petridis ed è composta da oltre 200 oggetti realizzati tra fine ’800 e inizio ’900 da popolazioni dell’Africa occidentale, centrale e meridionale: sculture, maschere, copricapo, monili e utensili creati con diverse intenzioni e funzioni.
Attraverso un percorso che evidenzia come forma e significato siano strettamente connessi nelle culture africane, il visitatore esplora un’estetica che ha al contempoun valore assoluto e un valore in relazione alla funzione dell’oggetto.
Si scopre, per esempio, il concetto di «cibema», parola utilizzata dalle popolazioni Chokwe per descrivere un oggetto che combina bellezza formale e integrità morale. La mostra approfondisce standard estetici che hanno a che fare con le qualità umane, lo stato sociale e i valori comunitari, insegnando a riconoscere i codici di queste culture e i loro significati. Secondo Jennifer Casler Price, curatrice di arte africana del Kimbell: «Questa non è arte per l’arte, ma arte per la vita».
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