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Lo stand della Company Gallery ad Art Basel Miami Beach, con le opere di Cajsa von Zeipel e di Raúl de Nieves. © Art Basel

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Lo stand della Company Gallery ad Art Basel Miami Beach, con le opere di Cajsa von Zeipel e di Raúl de Nieves. © Art Basel

Art Basel Miami Beach: una fiera scontata

Stand a prezzi agevolati per promuovere le gallerie giovani e poche sorprese in un mercato che vuole solo certezze

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Redazione GDA

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Miami Beach (Stati Uniti). Il 70% dei collezionisti americani sono ottimisti riguardo all’andamento del mercato: lo dice un sondaggio della Ubs. È vero che si tratta della banca sponsor di Art Basel, però l’edizione americana della più importante fiera d’arte moderna e contemporanea svoltasi dal 5 all’8 dicembre ha perfettamente confermato quell’indicazione, soprattutto per la fascia alta di prezzi e per artisti che, per quanto non sovraesposti, partono con quotazioni in linea con l’evidente supervalutazione dell’arte d’oggi.

A Miami, ad esempio, l’offerta includeva molta arte afroamericana: tra gli altri, Rashid Johnson da Hauser & Wirth (595mila dollari), Lauren Halsey da David Kordansky (20mila dollari) e un veterano del cinema e della fotografia com Gordon Parks (1912-2016) da Alison Jacques (10mila dollari). Si tratta del resto di un genere che mette d’accordo moda, correttezza politica e ricerca di nuovi talenti che si muovono sognando di emulare David Hammons, la cui «African American Flag» (1990), esposta e venduta a 1,65 milioni di dollari nello stand di Mnuchin (che piazzava anche un dipinto del 1963 di Helen Frankenthaler a 650mila dolalri) potrebbe essere considerata la vera icona di questa edizione della fiera.

A oscurarla è stata l’ormai universalmente nota banana (vera) di Maurizio Cattelan appiccicata a una parete dello stand di Perrotin con l’opportuno titolo «Comedian», venduta in 2 edizioni a 120mila dollari ciascuna, più (forse) una terza a 150mila. Un’opera che strizza l’occhio al colonialismo commerciale e in linea con la collocazione geografica e culturale di una fiera che attira molti collezionisti centro e sudamericani, finita in pasto a un altro artista, David Datuna, la cui performance gli ha garantito ulteriore eco mediatica. L’eterna durata del Dadaismo e della provocazione autorizzata, rubava così la scena all'impegno politico, nonostante la cospicua presenza di opere sul tema.

Tra le altre, «Call me» (2019) di Jenny Holzer, un dipinto che cita alcuni passi della richiesta d’impeachment del presidente Trump avanzata dal Partito Democratico; l'opera veniva venduta a 400mila dollari da Hauser & Wirth durante la vernice. Nonostante le turbolenze politiche negli Stati Uniti e all’estero, le recenti riforme fiscali statunitensi hanno reso la Florida un particolare molto invitante per il collezionismo.

E, banane a parte, la pittura prolungava la sua resurrezione, dal Marc Chagall venduto a 2 milioni di dollari da Hammer ai 900mila dollari ottenuti da Zwirner per due nuove opere di Oscar Murillo, dal milione e rotti per un’opera del 2011 del sempiterno Baselitz (da Thaddaeus Ropac, dove una scultura dello stesso anno raggiungeva invece i 3,8 milioni) ai 45mila dollari per i dipinti più importanti di Amoako Boako, ghanese che, trasferitosi a Vienna, parla della diaspora africana in stile Schiele. Le sue opere hanno preso il volo nello stand di Ibrahim ancora prima di essere appese.

Bene i patriarchi, come Bridget Riley (1,5 milioni da Zwirner) e Wayne Thiebaud (900mila dollari per un piccolo formato da Acquavella), reduce dal record personale di 7,7 milioni stabilito lo scorso novembre alla Sotheby’s di New York (cfr. n. 403, dic. ’19, p. 58). La novità di questa edizione era lo sconto del 20% concesso alle gallerie giovani desiderose di esporre nella main section della fiera. Ne hanno beneficiato 11 gallerie, che hanno potuto ridurre il prezzo di uno stand di 50 mq da 42.750 a 34.200 dollari.

«Dobbiamo stare al passo con gli artisti che abbiamo cresciuto; altre gallerie potrebbero corteggiarli», affermava Camille Hunt, cofondatrice della galleria Hunt Kastner di Praga. Il primo giorno la galleria aveva venduto tre ricami della giovane artista ceca Klára Hosnedlová (6mila euro ciascuno), più due fotografie di Jirí Thyn (2-3mila euro). Clearing Gallery rappresenta diversi artisti di punta come Harold Ancart e Calvin Marcus, che lavorano anche con David Zwirner e David Kordansky.

Le vendite includevano un grande dipinto di Ancart (380mila dollari), tre dipinti di Marcus (70mila dollari ciascuno) e un’opera a tecnica mista dell’artista tailandese Korakrit Arunanondchai (100mila dollari). Sinisa Mackovic della galleria Karma di New York, dichiarava che il costo della partecipazione ad Art Miami per lui è «vicino alle sei cifre, quindi ben venga lo sconto, ma resta tutto follemente caro». Tra le vendite, opere di Alex Da Corte, Henni Alftan e Woody De Othello, a prezzi dai 10mila ai 200mila dollari. «Miami è il primo passo per poter partecipare anche alle altre fiere del marchio Art Basel», affermava Mackovic.
 

Lo stand della Company Gallery ad Art Basel Miami Beach, con le opere di Cajsa von Zeipel e di Raúl de Nieves. © Art Basel

Redazione GDA, 03 febbraio 2019 | © Riproduzione riservata

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