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Archeoartisti al Macro

Fino al 26 novembre il Macro ospita mostre unite dal tema della memoria, dalla necessità di «trattenere» un mondo presente tra storia e consuetudini ordinarie

Francesca Romana Morelli

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Nella sede di via Nizza si inserisce in questo argomento il quarto appuntamento di una rassegna curata da Costantino D’Orazio, sugli artisti italiani emersi negli anni Novanta. A dialogare è il progetto di Simone Berti (Adria, 1966) con i bolognesi Cuoghi Corsello (rispettivamente 1965 e 1964). Berti allinea dipinti che legano il nostro immaginario collettivo a segni astratti della pittura novecentesca. I quadri sono illuminati da una lampada, costruita dall’autore, la cui luce incide sulla percezione delle opere. Pionieri della Street art italiana, Monica Cuoghi e Claudio Corsello nei magazzini del Macro hanno selezionato decine e decine di dipinti che documentano una stagione della pittura italiana tra gli anni Cinquanta e Settanta, fatta di paesaggi italiani, interni, ritratti, simboli di una nostalgia per la tradizione figurativa. Il duo ha quindi installato un filo di luce al neon, che, stimolato da una composizione di suoni ideata dagli stessi artisti, produce una sorta di fulmine.

Vincitori delle residenze di artista per l’anno 2017, Francesca Ferreri (1981) e Marco Gobbi (1985), fino al 29 ottobre, mostrano rispettivamente un dittico scultoreo, «Origini della geometria», che evidenzia la contraddizione tra unità e molteplicità, e una nuova ricerca sui palazzi storici di Venezia con le superfici erose dall’acqua. Nella seconda fase della residenza, Gobbi ha lavorato sulle connessioni tra la città di Venezia e Atlantide.

Al Macro Testaccio si visita la prima personale in un museo italiano del francese Renaud Auguste-Dormeuil (Parigi, 1968), «Jusqu’ici tout va bien», curata da Raffaele Gavarro. Un nucleo di opere indaga sull’essenza enigmatica del tempo, il suo scorrere incessante, assillante, e sull’incrocio delle sue direzioni, avanti o indietro, che l’arte rende possibile.

Tra le opere in mostra, il video «Quiet as the grave», una manipolazione del film «La donna che visse due volte» (1958) di Hitchcock. Eliminato il sonoro, i protagonisti intrecciano sguardi ansiosi, sospiri, mute suppliche, annullando ogni senso logico della trama. La toscana Franca Pisani propone infine «Codice Archeologico. Il recupero della bellezza», mostra presentata da Duccio Trombadori: grandi teleri riportano alla memoria momenti cruciali dell’umanità.
 

Francesca Romana Morelli, 04 ottobre 2017 | © Riproduzione riservata

Archeoartisti al Macro | Francesca Romana Morelli

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