Danimarca: «The pluit purification project» di Laurits Genz e Dejle Zaradechet © Laurits Genz

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Danimarca: «The pluit purification project» di Laurits Genz e Dejle Zaradechet © Laurits Genz

Alla Biennale le proposte dei padiglioni stranieri

Alla Biennale Architettura, lo spreco idrico nei servizi igienici (Finlandia) è uno dei temi trattati da molti dei 63 Paesi partecipanti: si progetta così un possibile Foodscape (Spagna) o la convivenza con la plastica (Usa) mentre in Francia si balla e in Cina si ripensa Shanghai

L’ambiente, i mutamenti climatici, il riuso dei materiali e la riscoperta delle tecniche artigianali. Ma anche le nuove modalità di produzione delle stesse risorse alimentari. Sono alcuni dei temi ricorrenti che caratterizzano le 63 partecipazioni nazionali che prendono parte alla 18ma Biennale Architettura, in forte crescita rispetto all’edizione di due anni fa (erano state 46) penalizzata però dall’emergenza Covid-19.

Non ci sarà questa volta l’Ucraina e naturalmente nemmeno la Russia, ma sono presenti per la prima volta con un proprio padiglione Niger e Panama e torna, dopo la partecipazione del 2018 con le dieci cappelle divenute permanenti nel giardino sull’Isola di San Giorgio, anche la Santa Sede. Quest’anno il padiglione è allestito negli edifici del Monastero benedettino e nei giardini dell’Abbazia sull’Isola di San Giorgio e avrà come tema quello dell’amicizia sociale, con la presenza di un famoso progettista come l’architetto portoghese Álvaro Siza e del milanese Studio Albori, che si occupa da tempo di architettura sostenibile integrata con l’ambiente.

Ci si aspettava forse una maggiore presenza dei Paesi africani, visto che questa 18. Mostra Internazionale di Architettura, intitolata «The Laboratory of Future» e curata dall’architetto e autrice ghanese-scozzese Lesley Lokko (cfr. «Il Giornale dell’Arte» n. 437, mar. ’23, p. 50), è dedicata soprattutto a loro, ma oltre alla new entry del Niger, solo Egitto e Sudafrica sono presenti a Venezia.

«Spaziale: ognuno appartiene a tutti gli altri» è il titolo del Padiglione dell’Italia all’Arsenale, per questa edizione affidato al Fosbury Architecture, collettivo milanese di ricerca e design. Il progetto è partito a gennaio (fino ad aprile) con l’attivazione di nove interventi site specific in altrettanti luoghi selezionati in tutto il territorio italiano.

Dall’installazione che riattiva il ricovero antiaereo tedesco con le sue gallerie Kleine Berlin, costruito a Trieste durante la Seconda Guerra mondiale, alla casa-tappeto nel quartiere catanese di Librino. Il Padiglione è la sintesi dei risultati di questi interventi. L’espressione «Everlasting Plastics» (Plastiche Eterne) evoca immagini di bottiglie che galleggiano nel Great Pacific Garbage Patch, il più grande accumulo di plastica oceanica al mondo che si trova tra le Hawaii e la California.

È anche il nome della mostra del Padiglione degli Stati Uniti. Le curatrici progettano di riempirlo con opere in plastica di due professori di architettura, due designer e una scultrice, Lauren Yeager, per porre al centro dell’attenzione la plastica, sia letteralmente sia come metafora culturale. «Open for Maintenance - Wegen Umbau geöffnet» (Aperto per manutenzione) è invece il titolo del Padiglione della Germania, realizzato anche in collaborazione con la rivista «Arch+», che ha al centro lo sviluppo ecologicamente sostenibile e socialmente giusto degli spazi urbani, con la pratica sociale dell’occupazione della manutenzione, e il riferimento ai temi dell’edilizia abitativa e dell’inclusione sociale nell’area metropolitana di Venezia.

Il team curatoriale si è impegnato a utilizzare, per la prima volta, i materiali della Biennale d’Arte del 2022. La Svizzera invece con «Neighbourhood» (Quartiere) punta sulla vicinanza spaziale, occupandosi della relazione, a livello architettonico e politico, tra il Padiglione svizzero (realizzato nel 1952 da Bruno Giacometti) e il Padiglione del Venezuela costruito immediatamente a fianco, in una contiguità quasi fisicamente tangibile, da Carlo Scarpa nel 1954.
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La prossimità dei due edifici è anche emblematica dell’intenso rapporto personale che legò i due architetti. Invece la Spagna con il progetto «Foodscapes» (Paesaggi alimentari) interpreta in modo originale e profondo lo slogan della Biennale, scegliendo come oggetto l’architettura relativa alla filiera di produzione, distribuzione e consumo alimentare, dal domestico al territoriale.

«Foodscapes» esplora così, coinvolgendo diversi studi di architettura, il contesto agroarchitettonico spagnolo per affrontare questioni globali attraverso un progetto audiovisivo di cinque film, un archivio come ricettario e un programma pubblico di conversazioni e dibattiti. Come le persone si relazionano con gli spazi all’interno delle comunità e delle loro usanze è invece il filo conduttore di «Dancing Before the Moon» (Danzando prima della Luna), il Padiglione della Gran Bretagna, in questa occasione animato dalle creazioni di sei designer e artisti. All’interno del padiglione, cinque artisti e architetti con sede nel Regno Unito espongono oggetti con particolare attenzione alle pratiche della comunità che hanno un impatto sullo spazio (dalla coltivazione del cibo e dalla cucina ai giochi e alla danza). 

All’esterno un’installazione progettata da Jayden Ali accoglie i visitatori. Curiosità come sempre intorno alla partecipazione della Cina: «Renewal: a Symbiotic Narrative» (Rinnovamento: una narrazione simbiotica) è il titolo della mostra presentata dal Padiglione cinese e curata dal noto docente e architetto Xing Ruan che si occupa da tempo della nuova architettura del suo Paese.

Termini come vivibilità e ringiovanimento sono le parole chiave, con una particolare attenzione alla trasformazione urbana di Shanghai, dell’affollata partecipazione cinese. Un Paese che si è affacciato con forza negli ultimi anni alla Biennale è l’Uzbekistan. Il Padiglione nazionale di quest’anno è intitolato «Unbuild Together» (Costruire insieme), curato dallo Studio Ko con sede in Francia e Marocco, e approfondisce il tema delle rovine dei «qala», antiche fortezze del Karakalpakstan, una repubblica autonoma uzbeka, eredità della civiltà Khorezm (sviluppatasi tra il III e il IV secolo a.C.), e dei tradizionali mattoni utilizzati per la sua costruzione.

Proposta completamente diversa per la Francia. In alcuni momenti della Biennale diventerà infatti una vera e propria sala da ballo il progetto «Ball Theatre» che è stato scelto per rappresentare padiglione. Il gruppo francese mira a creare un luogo di celebrazione e sperimentazione collettiva trasformando il padiglione in uno spazio performativo. Il team curatoriale è composto da Muoto, uno studio di architettura parigino, in collaborazione con Georgi Stanishev e Clémence La Sagna per la scenografia.

L’installazione sferica è pensata per diventare un luogo di immersione e sperimentazione. Ogni mese, ricercatori, studenti, artisti e pensatori abiteranno lo spazio per una settimana, trasformando il padiglione in un luogo di celebrazione e discussione. Il progetto propone un teatro a forma di globo ricoperto da uno strato di alluminio argentato, con un palcoscenico in cui gli artisti e il pubblico possano interagire.
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Il futuro delle toilette è invece messo in discussione dalla proposta del Padiglione della Finlandia, dal titolo: «Huussi, Imagining the Future History of Sanitation» (Huussi, Immaginando la storia futura dei servizi igienici). «Huussi» è la parola finlandese per latrina, un piccolo gabinetto comunemente usato dai finlandesi in ambienti rurali e case vacanza.

La mostra, curata da Arja Renell e The Dry Collective, un gruppo di architetti finlandesi, presenta questa tipologia come punto di partenza per trovare soluzioni alternative alla gestione delle acque reflue. Secondo la proposta curatoriale del padiglione finlandese, nelle economie sviluppate il 30% dell’acqua utilizzata per uso domestico viene usata per lo scarico dei servizi igienici e circa l’80% delle acque reflue viene rilasciato nell’ambiente senza trattamento. Inoltre, questo processo porta a danni ambientali su larga scala e inquinamento da azoto. Ciò contribuisce alle emissioni globali di gas serra e di anidride carbonica, in quantità paragonabili a quelle dell’industria aeronautica.

Si intitola invece «Coastal Imaginaries» (Immaginari costieri) la partecipazione della Danimarca, che nel suo padiglione esplora appunto il tema dell’adattamento climatico e dei paesaggi costieri del futuro, individuando il ruolo dell’architettura rispetto all’agenda globale per il clima e la biodiversità. Il Padiglione si concentra su come le zone umide, i paesaggi e la progettazione orientata alla natura possono contribuire a risolvere le sfide globali derivanti dall’innalzamento del livello del mare.

L’attenzione all’ambiente ritorna anche in «Earth» (Terra), la proposta del Padiglione del Brasile. La terra è un tema centrale nelle cosmologie, nelle filosofie e nelle narrazioni indigene e afro-brasiliane che costituiscono la maggior parte della matrice culturale nazionale. Di essa si parla anche in riferimento ad aspetti materiali della vita brasiliana, come l’appartenenza, la fattoria, la coltivazione, i diritti su di essa, ma anche nella sua accezione più ampia e cosmica, come pianeta e dimora comune di tutta la vita, umana e animale.

Si torna a discutere dell’impatto nei prossimi cinquant’anni della crisi ambientale e dei suoi effetti anche con «Together How?» (Insieme come?), il tema del Padiglione della Corea del Sud, che analizza casi di studio di piccole comunità locali per valutare il loro stato attuale e proporre scenari futuri specifici del sito fino al 2086. Ad esempio, nel caso di Gunsan, i professionisti hanno esplorato come lavorare con case ed edifici abbandonati per riportare il paesaggio urbano della città vecchia a uno stato più naturale.

Singolare il tema scelto da Israele con «Cloud-to-Ground» (Cloud a Terra) che esplora la natura materiale del cloud tecnologico e delle moderne reti di comunicazione nel Paese. Esaminando i rapidi cambiamenti subiti da queste infrastrutture informatiche, la mostra mette in luce i processi economici e geopolitici attualmente in corso in Israele e nella regione, e il ruolo dell’architettura in questi.

Concentrandosi sul passaggio dal suono alla luce, l’esposizione si estende in tutto il padiglione come un’installazione immersiva, esaminando al contempo il passaggio dalla comunicazione analogica a quella digitale e dagli edifici accessibili nei centri urbani alle strutture in luoghi periferici. Interessante anche il progetto del Padiglione delle Filippine che si intitola «Tripa de Gallina: Guts of Estuary» (Budella dell’Estuario).

Il padiglione espone i problemi relazionali di lunga data dei residenti di Barangay 739, 750 e 751, i quartieri situati lungo Estero de Tripa de Gallina, il canale più lungo di Manila. Questo specchio d’acqua attraversa i tre quartieri, provocando un forte congestionamento di traffico e di persone lungo l’estuario. Come tentativo sostenibile di affrontare questa serie di ostacoli, il progetto propone alla comunità una soluzione di design realizzata in bambù che funge da punto di contatto per le relazioni  tra di loro e segnale per un’azione collaborativa nel nome della resilienza.

Affronta invece temi di architettura sociale direttamente legati a Venezia il Padiglione dell’Austria. Curato dal collettivo di architettura viennese Akt e dall’architetto austriaco Hermann Czech, il progetto, intitolato «Partecipazione/Beteiligung», esplora il ruolo della Biennale rispetto alle sue responsabilità politiche e culturali in una Venezia che si spopola e si riduce.

Dividendo lo spazio in due, Akt & Hermann Czech hanno organizzato il  padiglione in modo simmetrico. Mentre metà del padiglione è  aperto al quartiere adiacente di Castello e reso liberamente accessibile ai veneziani (ma non mancano i problemi con il Comune di Venezia per consentire l’entrata), l’altra metà è utilizzata come spazio per innescare dibattiti, colloqui intensificati da un programma e da una rete di comunicazione. Ma sono solo alcune delle molteplici proposte dei padiglioni stranieri presenti a questa edizione della Biennale Architettura.

Finlandia: un tradizionale huussi. Cortesia di Jrjfin | Shutterstock

Spagna: «Foodscapes» © Pedro Pegenaute

Enrico Tantucci, 17 maggio 2023 | © Riproduzione riservata

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Alla Biennale le proposte dei padiglioni stranieri | Enrico Tantucci

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