Hou Hanru, 58 anni. Foto Musacchio&Ianniello

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Hou Hanru, 58 anni. Foto Musacchio&Ianniello

Al MaXXI esponiamo un capolavoro unico: noi stessi

Il direttore Hou Hanru cura una mostra con foto e testi che raccontano la storia del museo

«Una storia per il futuro. Dieci anni di MaXXI» è una mostra immateriale dedicata al museo e al mondo che lo circonda. Aperta fino al 4 agosto, curata dal direttore artistico dell’istituzione Hou Hanru (Guangzhou, Cina, 1963), l’esposizione si articola in un percorso intessuto di 1.200 immagini fotografiche e testi, che ricostruiscono quanto avvenuto al MaXXI a partire dalla sua edificazione, nel suo decennio di mostre, progetti, incontri, eventi e pubblicazioni. Non ci sono opere fisiche, perché l’opera è la mostra in sé.

Lo stesso museo è, per Hanru, «un laboratorio in divenire, luogo di riflessione e sperimentazione». E questo a partire dal suo concepimento, che avvenne nel 2000, con il progetto di Zaha Hadid vincitore del concorso internazionale per un centro nazionale dell’arte e dell’architettura contemporanee, per il quale il Ministero della Difesa cedette a quello dei Beni culturali l’area di un’ex caserma. Dopo 10 anni, e 150 milioni di euro di spesa, il museo di 21mila metri quadrati venne inaugurato, e da allora a fermarlo è stata solo la pandemia, ma per poco. Ora riapre proprio con questa mostra enciclopedica allestita dallo studio olandese Inside Outside di Petra Blaisse.

Si parte dal MaXXI prima del MaXXI e si procede, in un tragitto segnato da 14 banner che condensano l’attività del museo, lungo un gigantesco atlante murale composto da un puzzle di testi e di fotografie di opere, di ambienti urbani e di eventi della società contemporanea, assemblati per sezioni e sottosezioni tematiche. Scritte al neon rafforzano l’idea di strada, mentre quattro grandi ambienti monocromi offrono approfondimenti più intimistici, tra cui il videoracconto diretto, come una storia orale, degli operatori del museo, dai direttori al personale di guardiania.

Le cinque grandi aree tematiche («Il MaXXI e la città», «La moltitudine», «Mondi», «Le sfide della realtà» e «Credete nell’innovazione?») procedono l’una dall’altra sotto l’egida del principio unificatore che fa del MaXXI un connettore urbano, capace di riunire le tante anime della realtà. «Il MaXXI è il Foro Romano del nostro tempo, spiega Hou Hanru, è un museo della strada e una strada-museo, ma anche un giardino segreto. È aperto alla città, al mondo, e a ogni individuo. La mostra illustra un caleidoscopio di possibilità che vanno dalla casa al cosmo. Il MaXXI è un dispositivo per generare idee creative connesse alla realtà del mondo, è per questo che nella mostra abbiamo messo in relazione l’arte e la geopolitica, la creatività e i grandi eventi della recente storia mondiale».

Sta cambiando l’idea di museo?

Non esiste più il white cube. Oggi il museo deve contribuire a chiederci: chi siamo? Chi sono io? Chi sono gli altri? L’arte può migliorare il mondo se riesce a creare un’area di «condivisione del sensibile». L’arte non può risolvere problemi ma elaborare proposte e far crescere coscienze. Con il museo cambia anche l’idea e la funzione del pubblico. Con questa mostra noi ci chiediamo anche: che cosa significa essere pubblico?

E se ci si perdesse nel tragitto labirintico delle idee proposte in mostra?

È quello che vogliamo. Il percorso è antilineare, spezzato, frammentato come la nostra contemporaneità. Ha un valore meditativo di accettazione della complessità e dell’impossibilità di comprenderla una volta per tutte, quindi di adeguamento del nostro ego a ciò che non si controlla del tutto.

Niente più centri, né periferie?

Oggi il centro può trovarsi qui al MaXXI o in mezzo alla campagna. Non più a New York, a Parigi o a Shanghai. Il centro è quel luogo in cui avviene una coesistenza di diversità.

Una sintesi non è più possibile?

Siamo in mezzo a un flusso continuo, a un’ibridazione culturale permanente. Oggi la forma pura, quella per esempio di Malevic, non è più concepibile.

Lo spirito della mostra vuole intercettare lo spirito del mondo?

Ci proviamo, interroghiamo, creiamo zone di sensibilità e processi di negoziazione. Siamo aperti.

Una sezione della mostra è dedicata all’innovazione tecnologica.

Sì, la tecnologia non va vissuta passivamente, come valore in sé: innovare significa anche cercare un pensiero e un’immaginazione alternativi al dominio dell’ideologia e del potere politico dell’high-tech.

Sono lecite anche le utopie?

Anche questa mostra è un’utopia.

Le utopie possono aiutare anche a uscire dalla pandemia?

Tutto serve. Anche perché ci sono virus ancora più insidiosi del Covid-19. Noi viviamo in una «burnout society», come l’ha definita il filosofo Byung-Chul Han. Lo stress è una realtà sociale figlia di un fraintendimento della modernità. La nostra è una società malata che va curata.

Lei ha una vastissima esperienza internazionale, dalla Cina alla Francia, agli Stati Uniti. Dal 2013 è direttore artistico al MaXXI. Com’è il suo rapporto con l’Italia?

Ho imparato le sue contraddizioni. Per esempio è il Paese della Ferrari, ma qui le cose non funzionano sempre come un motore della Ferrari. Eppure solo qui poteva nascere.

Hou Hanru, 58 anni. Foto Musacchio&Ianniello

L’allestimento della mostra «Una storia per il futuro. Dieci anni al MaXXI». Foto: Musacchio, Ianniello, Pasqualini; cortesia Fondazione MaXXI

Guglielmo Gigliotti, 04 marzo 2021 | © Riproduzione riservata

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