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Al fondo dello spazio
- Francesca Romana Morelli
- 13 dicembre 2016
- 00’minuti di lettura


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- Francesca Romana Morelli
- 13 dicembre 2016
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Francesca Romana Morelli
Leggi i suoi articoliAnish Kapoor indaga sull’idea che esista più spazio, inteso come spazio vuoto, di quello che possiamo vedere: «È l’immagine freudiana del fondo della caverna, ha dichiarato lo scultore, il fondo oscuro e vuoto dell’essere, che poi paradossalmente è pieno: di paura, di oscurità. Che lo rappresenti con uno specchio o con una forma scura, è sempre il “fondo” il punto che catalizza il mio interesse e mette in moto la mia creatività».
Dal 17 dicembre al 17 aprile al Macro una mostra di Kapoor, curata da Mario Codognato, riunisce 40 opere, tra cui una serie di rilievi e dipinti composti di strati aggettanti di silicone rosso e bianco e pittura e alcune sculture-architetture. Nato nel 1954 a Bombay da padre indù e madre ebrea irachena, Kapoor è naturalizzato inglese.
Negli anni Settanta ha fatto esperienza in un kibbutz, finché per studiare si è recato a Londra, dove vive tuttora. Nel 1979 ritorna in India, dove prende coscienza di una propria identità «extraterritoriale».
La sua carriera decolla, fino a rappresentare la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia del 1990, quindi vince il Turner Prize, è eletto membro della Royal Academy e riceve il titolo di Commander of the British Empire (2003). Nel frattempo gli arrivano le commissioni tra arte e architettura, tra cui il Cloud Gate a Chicago, dalla forma di fagiolo lungo diciotto metri e alto nove, mentre a Napoli realizza due opere per la metropolitana dell’Università, mai definitivamente installate.
«Il linguaggio di Kapoor è perennemente in bilico tra la trasposizione dei temi dell’esistenza e l’impeto prometeico a trasformare la materia, di conseguenza, simbolicamente la realtà, osserva Codognato, La sua poetica implode e al contempo intensifica e approfondisce le relazioni binarie, le energie opposte che costituiscono il mondo visibile e il pensiero astratto, come esemplificano, tra le opere in mostra “Sectional Body Preparing for Monadic Singularity” (2015), che si sviluppa per oltre sette metri in altezza e lunghezza ed è stata esposta l’anno scorso a Versailles e “Internal Objects in Three Parts” (2013-15), un trittico in silicone dipinto e cera, allestito da poco tra le opere di Rembrandt al Rijksmuseum ad Amsterdam».